SONO STATO IO

DELITTO/CASTIGO

UNA AUTOCOSCIENZA LIBERATORIA

Al Teatro Vittorio Emanuele di Messina entro, invasa da quella goccia rumoristica cadenzata, presente sul palco tetro oscuro, che di lì a poco mi immetterà con una forza devastante in una Pietroburgo notturna ..anche quando sembrera’ entrare… per poco…. la luce in un abbaino. So che, tra poco, sarò proiettata nel difficile antro della coscienza di Fedor Dostojesvskij. Lo scrittore russo scrisse questo magico romanzo “Delitto e Castigo”, probabilmente influenzato dai trattati illuministi anche di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle Pene”. Ma pochi, potranno capire questo lavoro, se non si saranno interrogati sul tempo oscuro diverso, ma ahimè simile a quello di oggi, della Pietroburgo povera, dominata dalla follia di un tempo angusto… Un tempo dove è facile diventare nichilista e non alzarsi dal letto se non immaginando che il mondo possa esplodere come nella canzone di Anastasio. Fedor aveva capito o percepito che allora, come oggi, è insita nella frustrazione, la tendenza ad uccidere anche solo psicologicamente i propri simili, quando si è soli ad affrontare temi essenziali ed esistenziali di fronte alla assenza dello Stato. E quanto più, in questi momenti bui della attuale storia europea e mondiale, approfondisco la difesa dei diritti umani, piu’ comprendo che per realizzare un mondo migliore molti potrebbero esser spinti a sparare sulla folla come Napoleone. I tempi dello scrittore erano di questa tristezza e di questa povertà non solo terrena ma anche psicologica è per questo che il Dostoevskkij resta lo scrittore più letto ma anche il piu’ grande del suo tempo, scrivendo opere che resteranno le piu’ famose di tutti i tempi per la introspezione psicologica dei testi  in cui i fatti restano, forse, sullo sfondo. “Delitto e Castigo”, pubblicato a puntate nel 1866 sulla rivista «Russkij vestnik» («Il messaggero russo»), è la storia di Rodion Romanovič Raskol’nikov, che l’autore descrive così in una lettera all’editore: “Un giovane, espulso dall’Università, di famiglia piccolo borghese, poverissimo, che decide di uscir di colpo dalla sua triste situazione (…) e uccide una vecchia usuraia (…): una vecchia stupida, sorda, malata, avida, cattiva (…) egli decide di ucciderla (…) e diventare in seguito – e per sempre – un uomo onesto, risoluto, inflessibile nel compiere “il proprio dovere verso l’umanità” (…)”. Dunque descrive un uomo qualunque dotto, della sua epoca, che da giornalista antesignano divide gli uomini in due specie: i grandi uomini, come “Napoleoni” cui “tutto è permesso” e le persone comuni, i “pidocchi”, che devono invece sottostare alle leggi e al senso comune, e nei confronti dei quali i Napoleoni hanno diritto di vita e di morte e, di fronte ai quali, gli altri si sono ridotti in schiavitù, una specie di vinti di verghiana memoria. Trovo che questo scrittore è stupendamente moderno e che ciò che avverrà tra un po’ sul palcoscenico è una iperbole interpretativa di due fuoriclasse come Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini, questo ultimo anche regista, che girano tra le pagine di un libro da cui escono voci amplificate, cogliendo dal testo complesso, la immersione in questo antro che, come tutte le coscienze, amplifica le voci nella ripetizione e sopratutto i suoni che sono chiari e che giungono come urli. La messa in scena è bellissima: dall’alto corde che potrebbero sembrare come dei grossi saliscendi di vecchie tende antiche…a volte rappresentano la folla, tra l’altro qualcuno che cade e muore…sono tuttavia semoventi e delimitano gli spazi. Ai due estremi gli attori che hanno con sè in leggio e fogli e che sono dentro e fuori la scena…istrioni giganteschi, che si muovono nel mondo sotterraneo del protagonista e sono anche i lettori descrittori, come Sergio Rubini che è anche, nelle sue metamorfosi, altre persone …altre voci. Ma noi come saremo dopo questo spettacolo? Dovremmo forse capire che i delitti non esistono ed a commetterli è l’ambiente…sebbene qualcuno si assumerà la colpa? “Delitto/Castigo” …vedete credo che il simbolo slash non sia meno importante della sua definizione. Delitto-castigo sono come i residuati di una complementare cattolica che per cui sono indissolubilmente legati, come se non debba esistere perdono e se non possa in alcun modo esserci una deviazione dai due termini che sono estremamente sinonimi…tanto nessuno indagherà mai se di quel delitto è invece colpevole una società di uomini, una condizione economica e persino l’isolamento di una persona. Qui il protagonista è l’ex studente in difficoltà economiche che arriva a compiere il delitto (dapprima verso una vecchia strozzina e contro la sorella non prevista), semplicemente come eliminazione di difficoltà o ribellione alla impotenza; Il ragazzo aveva passato prima del delitto buona parte del tempo in un abbaino, sempre sospeso tra la idea di poter diventare quel superuomo che se ne buggera della morale e la sua condizione di misero che sopravvive portando oggetti al banco dei pegni. Ma la pena finale quella che qualsiasi Giudice può infliggere è differente dal castigo che appartiene alla coscienza dell’uomo. In lui si altalenano vari sentimenti quello del riscatto per la sorella, della pietas per la madre, ma anche del disprezzo per certi uomini che approfittano e persino l’amore. Tutto concentrato in lui …la figura unica che rappresenta la odierna realtà dilaniata tra la perdita progressiva di una identità sociale ed il desiderio di sparare sulla folla o peggio di abdicare alla morale comune…dato che di questa morale Rodion Romanovič Raskol’nikov, non sa che farsene .
Sergio Rubini, regista e interprete sembra continuare il suo progetto di ricerca: “teatro non teatro”; qui i protagonisti sono due accompagnati da eccellenti attori-voce come Francesco Bonomo e Francesca Pasquini, ma il copione è presente perchè – come sostiene Lo Cascio – «il copione fa sempre piacere averlo, uno cammina con il sapere in tasca come con un talismano sacro» Si…ma è presente perchè importante… non perchè Rubini e Lo Cascio non ricordino il testo e non lo abbiano tanto sottopelle da darne una interpretazione sublime. Tanto ciò è vero che assisteremo in diretta alla progressione psicologica di annientamento dello studente travolto dalle sue passioni e dalla sua logica incalzante ma tanto sia Ruffini che Lo Cascio dominano la scena aiutati dai i passi in arrivo o in allontanamento, dalle chiavi che girano fragorose, dall’aprirsi o chiudersi di porte…. tutto per la scelta abile rumoristica e musicale di G.U.P. Alcaro ed anche le strane corde con gli abiti semoventi segnano incontri e fughe nella notte. Mi rendo conto che sto entrando anche in un altro testo quello del mio idolo letterario Kafka sia con La Condanna che con IL Processo. Libri difficili ma identici nella loro folle rappresentazione di ciò che succede vivendo. Si può dunque uccidere una usuraia che ti ricatta? Rodion lo fa, prima pensando al delitto come sola possibilità di affrontare la logica di una morale benpensante e poi ne sopporta le estreme conseguenze. Ma la linea narrativa sarebbe troppo semplice per lo scrittore. Lui stesso infatti ne mescola tre: la principale quella dell’omicidio e della sua espiazione; la storia delle miserie dei Marmeladov, il cui capofamiglia è un disoccupato beone con una figlia di nome Sonja, costretta a prostituirsi ma così intrisa di carità cristiana che riuscirà a infondere all’amato Raskol’nikov, la forza della liberazione…e la terza via… e cioè le vicende sentimentali della sorella dello studente Dunja, sospesa tra i due innamorati Razumichin, amico del protagonista, e Lužin, piccolo borghese maschilista, e soprattutto Svidrigajlov, un amorale che, incapace di una coscienza sociale, sceglierà il suicidio come via di liberazione. Lo studente pensa anche alla madre ed alla sorella costretta a sposare un uomo ricco per salvare anche lui dalla povertà e dunque le sue colpe si ingigantiscono sino alla estrema reazione che sarà il delitto e la sofferenza che ne consegue che lo porterà sulla soglia di una follia dialogica. Bellissima la scena finale in cui Rodion si reca da un Giudice, farneticando in modo confuso e sembra non elaborare per poi ammettere con tono pacato “Sono stato io”.

E adesso mi interrogo perchè io fui un appassionata di questo scrittore che lessi all’età di otto anni, come avevo fatto di nascosto a mia madre con altri libri e perchè, da bambina credevo realmente che Rodion non fosse responsabile del delitto. Credo oggi che la rappresentazione tetra alle volte…ci faccia riflettere che ciò che abbiamo visto è solo quello che avviene dentro l’animo sconvolto delle persone sole, travolte dalla crisi economica a cui lo Stato e pochi ricchi potentati abbiano rubato tutto…e se uno qualsiasi, dalla folla tradita, insorgesse e sparasse… chi è colpevole realmente? Penso alle stragi odierne che sono un tentativo di liberazione dalla schiavitu’, svolto attraverso ingenui calpestati umiliati che si qualificano “terroristi” e non sanno che sono le vittime designate di un potere che arma la loro mano. Penso ai bombardamenti delle recenti guerre…inutili ed attuate per il profitto: il petrolio..i diamanti…penso ai volti senza nome che galleggiano sull’acqua…penso ai miei connazionali spinti da una corrente di odio razziale, non reale motore di questo dissesto mondiale e mi dico questa coscienza dell’uomo che si autoaccusa da solo basta…è sufficiente a cambiare tutto? Rispondo: No! se la corruzione dilaga e colui che spara è solo l’ultimo anello di una coscienza collettiva degenere. Io esco con le lacrime agli occhi… perchè Rodion resta il solo a dover dire “Sono stato io”, redento dall’amore, ma quella discesa agli inferi serve solo al Giudice. Giustizia è fatta. Serve anche all’Uomo che è l’esecutore materiale del delitto. Ma non serve a noi e credo che questo sia il grande messaggio del romanzo di uno scrittore che resta come una stella nel firmamento della letteratura di tutti i tempi perchè ha usato uno stereotipo per raccontare la eterna storia degli uomini e delle loro debolezze.

Come ha scritto Ettore Lo Gatto, professore di letteratura russa all’università di Roma: «Raskol’nikov accetta la condanna degli uomini e si salva così moralmente. Raggiunge la luce abbandonandosi alla corrente della vita per lasciarsi portare in salvo, rinunciando alla lotta e aggrappandosi ai valori elementari dell’uomo per trovare la bontà primigenia: è la salvezza tragica russa attraverso la sottomissione passiva».

Ma ciò che interessa a Dostoevkij è che la devianza  puo’ spesso metter in evidenza una coscienza trascendente come in “Al di là del bene e del male”, per dirla con Nietsche ed un rifiuto della razionalità e della ragione, proietterà  la coscienza di Rodion….in forse  un universo mentale?

Davvero Raskol’nikov dimostra a se stesso e al mondo di appartenere alla categoria dei grandi uomini.

Per questo tutti dicono che “Delitto e Castig”o è “il primo grande romanzo polifonico di Dostoevskij”, un’opera di voci. La definizione è del grande critico Michail Bachtin. Egli ci suggerisce che “ Ogni personaggio rappresenta in qualche modo un’idea, un’ossessione, un punto di vista sulle cose” e che l’autore non interviene ma registra il racconto o meglio la visione. Forse un “così è se vi pare” di Pirandello ma anche un invito a cambiare? Con chi dialoga ogni personaggio? Esattamente con noi.

Belle le parole del Giudice: “Soffrite! (…) Sono persino sicuro che arriverete ad accettare la sofferenza” E proprio l’accettazione della sofferenza scriveva il critico che è centrale nella narrativa dell’autore: «Nel mio racconto accenno anche all’idea che la pena giuridica con la quale si punisce il delitto spaventa molto meno il delinquente di quanto pensino i legislatori – poiché egli stesso moralmente la esige»

“Infine esiste in questo immenso romanzo anche Pietroburgo, città che Dostoevskij odiava e che fa da chiuso e claustrofobico ai deliri e alle miserie di Raskol’nikov e degli altri personaggi. La Pietroburgo di Delitto e castigo è sommersa dalla sporcizia, gli spazi angusti in cui si muovono i personaggi, il disordine sono, oltre che un contributo decisivo alla creazione di un mito urbano l’immagine per così dire esterna della desolazione interiore che abita i personaggi”. E’ la odierna Roma delle promesse e delle delusioni…la caotica Roma in cui resta l’uomo che combatte da solo contro il fantasma di una perfezione democratica inesistente…mentre ti burocratizzano il pensiero …e la scia di sangue invade le case sempre piu’ povere e malmesse…fuori trionfa la droga …la malvagità… ma nessuno ha il coraggio di urlare o ammettere in silenzio “Sono stato io”.

Anna Mazzaglia Miceli

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