GALANTUOMINI TUTTI PERCHE’ UN PO’ FOLLI

Grande successo al Teatro Vittorio Emanuele di Messina della commedia di Eduardo

Più di 100 anni e non sentirli!  per questo testo del giovane Eduardo De Filippo.  “Uomo e galantuomo” noto prima con altro titolo “ Ho fatto il guaio? Riparerò!”, e, subito appare sul palco una lunga sfilza di lenzuoli bianchi….per sentire le atmosfere della Napoli popolare…ma ecco che una compagnia ha montato le scene delle prove in ciò che sembra essere un atrio di un Hotel. Così Geppy Gleijesis arriva al Teatro Vittorio Emanuele di Messina per la regia di Armando Pugliese, tra i più grandi registi italiani. Ma chi è questo attore arguto e sapientissimo sia come fine dicitore sia nei suoi lazzi carnascialeschi che fu l’allievo amatissimo di Eduardo De Filippo e cui il Maestro lascia il compito di rappresentarlo nel mondo?

Uno stupefacente attore che recita insieme al figlio Lorenzo Gleijeses, allievo prediletto di Eugenio Barba, che interpreta il ricco albergatore Alberto De Stefano (proprio come avevano fatto Eduardo ed il figlio Luca). E sì che il figlio non è meno del padre, arguto e mingherlino è il giocoliere che salta dalla sedia al tavolo riuscendo con i gesti a dimostrare come si passa dalla naturale forma umana alla pazzia, instaurando un gioco delle parti tutto fondato sulla bravura di questi due fantastici attori. Ed insieme a loro
Ernesto Mahieux, (David di Donatello per “L’imbalsamatore” di Matteo Garrone,) nel ruolo del Conte Tolentano. La commedia dai toni ‘scarpettiani’ e non solo, scorre rapida, racchiusa in un meccanismo comico straordinario, che si dipana tra equivoci e fraintendimenti dall’effetto travolgente. La storia messa in scena da una scalcinata  compagnia di guitti scritturati per alcuni spettacoli all’interno di uno stabilimento balneare,  si svolge tra realtà e finzione tra povertà espressa in modo non dolente ( non vanno mai al ristorante i poveri perché possono anche far da soli, in una stanza di albergo, cucinando mentre fanno le prove dello spettacolo serale). Ed è in questo metaspazio incandescente che la vita magra dei guitti si confonde e si mescola col teatro. A Gennaro la sugna si liquefà nella tasca mentre di ritorno dal mercato cerca di provare “Malanova” di Libero Bovio e, sempre in questo spazio apprendiamo che Gennaro aspetta un figlio dall’attrice, nel miserabile mondo reale nel quale pur segue le imbeccate del maestro e, sempre qui, si intreccia una sorta di duello esilarante col suggeritore ( Gino Curcione) inserra quella porta! E qui, sempre nel meta-reale, si fa capire come nel teatro tutto ha un tempo a seconda di come si legge un testo, i puntini di sospensione e quei no tra il capocomico e l’attrice, per cui lo stesso decide di eliminarli dal copione se non vengono detti nei toni e tempi giusti, mentre bisogna pensare anche ad una madre morente ed ai sospiri o respiri di questa che devono essere cadenzati con giusti tempi scenici. Tutto ciò crea equivoci mentre si legano intrecci amorosi e complicati inconvenienti la cui unica via di fuga e arma di difesa sarà la follia. Ma, intanto, si ride tanto perché ogni profilo attoriale è sovraesposto come nelle maschere napoletane che si muovono in modo esagerato, poiché gli attori si divertono e divertono e della vita vera, in fondo, se ne impipano, non c‘è una esagerazione mai o scivolamento nel dramma ma una decisa fuga dalla realtà nella rappresentazione, almeno fino a quando…non sia necessaria un’altra fuga.

Sì è un cast di bravissimi attori che devono mettere in scena un testo nato dalla splendida conoscenza di un teatro dalle molteplici sfaccettature, come è quello di Eduardo.

Questo episodio introduttivo di teatro nel teatro si fa anche critica di quel teatro declamatorio che De Filippo critica. Convincente  l’interpretazione di Geppy Gleijeses – che cerca di riportare il più possibile il suo maestro sul palco, senza imitarlo, con semplicità e con riferimenti personali che richiamano le interpretazioni di Chaplin – del pari convincente è la prova di Lorenzo Gleijeses (suo figlio) che trovandosi nella casa della madre di Bice  per chiedere in sposa la figlia, che crede incinta a causa della loro relazione e deve sì riparare ma non con il matrimonio, bensì concependo, con velocità intuitiva, di essersi messo in una situazione errata e scopre che fare il pazzo è necessario, trovandosi a  dover fare i conti col marito di Bice, il conte Talentano  – che rende ancora più visionaria ed esagerata l’ostentata follia del suo personaggio.

Volendo sottolineare i temi centrali della commedia tanto cari a De Filippo: una citazione più che una vera ispirazione pirandelliana è il tema della follia, qui’ vissuto in modo surreale e decisamente comico, a differenza di Pirandello che crede che la follia sia la chiusura logica di un dramma come ne “Il berretto a sonagli”, ove esistono le tre chiavi (normale, civile e pazza).

Socialmente poi la commedia ha due piani di attenzione: esiste chi lotta ogni giorno per sopravvivere ed esiste lo sfarzo di chi è immerso nella ricchezza; Ma umanamente le persone sono uguali. Vi è sottesa, ma non poi tanto, una critica al finto perbenismo ed all’apparenza ma è tutto nelle mani della comicità che ridendo fa riflettere, ridere per denunciare i cattivi costumi? Ho riflettuto! non serve la denuncia sociale, ma una ironia profonda stemperata dalla risata. In fondo tutti useranno la pazzia per superare l’enpasse di una situazione di vita difficoltosa, anche il Conte Talentano.

La regia, inevitabilmente segue il testo sospesa, come Eduardo, tra il mondo del racconto tradizionale e l’uso della innovazione, una comicità tutta attoriale ma nata dalla improvvisazione

E se il complemento naturale del ruolo del galantuomo – che nessuno sa davvero recitare – è quello della follia, unica risoluzione di ogni complicato ingarbugliamento, a trionfare è, poi, la figura dell’antieroe. Se all’inizio, dagli ambienti e dagli abiti indossati, la separazione tra uomo comune e galantuomo appariva netta, pian piano, le tinte si fanno più confuse e più difficile la loro distinzione. Uomo e galantuomo, alla fine, è ciascuno di noi, tra virtù e debolezze, verità e maschere e un po’ di umana follia.

Grazie alla improvvisazione  gli spettacoli dei Gleijeses non saranno mai ripetitivi e in ogni replica si continuerà a creare, perchè all’attore questo è concesso.: la libertà della improvvisazione è lasciata agli attori ed il costrutto “impegnato” pirandelliano è del tutto assente dalla scena e dal testo per dare spazio alla gestualità dei “pupi” e delle maschere fattesi persone, uscendo così dalle raffigurazioni colorate dei dipinti.

Inutile chiedere ai Gleijeses “Ma perché agite così?”: vi risponderanno “Perché così si fa!”. Ma anche la storia di “Uomo e galantuomo” è una sorta di miscela, in cui qui si invertono i generi, dato che il matto lo fa “Lui”, Alberto (De Stefano/Lorenzo Gleijeses), l’amante di lei, per evitare lo scandalo e le revolverate del marito tradito. Il tutto rafforzato da inserti da commedia napoletana, in cui anche il riferimento alle “corna” ha la funzione di datare e collocare l’evento scenico.  Ovviamente, “Er Sor Delegato” di polizia, tanto tronfio quanto sorprendentemente ingenuo, ed alla fine confuso, incarna l’ottuso mondo di chi nulla comprende e che, alla fine, sta per risentire anche Lui della mistica salvezza della pazzia nel disorientamento che attraversa tutti i personaggi della storia, tutti poveri galantuomini, che probabilmente uomini non son mai stati.

Insomma bello il testo ed ancor più bello questo teatro straneante che fa comprendere il teatro popolare come quello napoletano in cui la tradizione si avvale di “tramiti  umani” (gli attori scarpettiani, realmente superbi), Ecco che  il “guittismo” di un teatro povero che non riesce a mettere assieme il pranzo con la cena, esalta la forza della passione, e voglia di vivere nell’umorismo. Su tutto sembra imperare la presenza sempre poco gradita, ed  ingombrante del “Potere”, cui i miserabili si rivolgono con apparente rispetto. Questo e molto altro si nasconde dietro una farsa? Sicuramente! Perché anche questa sera, ancora una volta, si recita a soggetto!

Anna Maria Mazzaglia Miceli

 

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