QUANDO IL FESTIVAL RACCONTA…

Il Messina Film Festival per un cinema di ricerca

La distanza di più di un mese dall’evento che ha gremito la Sala Laudamo di Messina impone riflessioni e commenti perché una settimana densa di film intensi mi ha imposto una sosta di meditazione, talmente sono stata incantata e rapita dalle molteplici immagini che avevano un tema unico: il cinema e l’opera lirica, veicoli di emozione profonda. Voler scrivere di una visione colta non è semplice né di immediata percezione ma la risposta del pubblico messinese è stata pronta e per certi versi imprevedibile. Torna così, dopo ventidue anni, alla Sala Laudamo di Messina il rinnovato Messina Film Festival con una appendice interessante: Cinema&Opera , ideato con passione triplicata da un Uomo che, dopo anni,  riapre il suo meraviglioso mondo di riflessioni e competenze, che aveva chiuso nel cassetto dei ricordi in una Saletta Milani che ci aveva catalizzati per la ricchezza delle proposte. Sapevo che Ninni Panzera non avrebbe dimenticato il suo pensiero esposto e futurista ma che aveva solo messo in quel cassetto un guizzo di memoria per rifondare le radici di un pensiero colto che ci ha tenuti tutti uniti nell’attesa che riaprisse lo scrigno magico. Così il legame che ha tenuto saldamente unita musica ed immagine riaffiora con forza se l’oggetto della indagine è lo stretto legame tra l’opera lirica ed il cinema, sia che l’opera sia solo un tema di commento sia quando essa entra prepotentemente nell’immagine per innalzare ed approfondire il tema di ricerca, eternizzando l’opera stessa e rendendola inequivocabilmente mitica. E questo festival è stato dedicato a Maria Callas, la divina interprete immortale del bel canto. Di Lei forse parla questo Festival superbo che alla stessa dedica la ricorrenza dei cento anni dalla nascita. Così come di Lei, viso celestiale si innamorò Pier Paolo Pasolini che la volle interprete di “Medea” (film del 69) in cui Il regista concesse poco allo spettacolo e alle esigenze commerciali per realizzare un cinema di eccezione, esteticamente perfetto. La storia ricalca la tragedia di Euripide senza variazioni: Giasone allevato dal Centauro deve impadronirsi del vello d’oro, custodito nella Colchide dalla sacerdotessa Medea, per riprendere possesso del piccolo regno. Medea si innamora di Giasone, uccide il fratello, ruba il vello d’oro e fugge con Lui. Giasone non si preoccupa molto di lei dedicandosi alle conquiste.

Pasolini compie un salto temporale di dieci anni e ripropone Giasone e Medea sposati a Corinto con due figli, mostrando come l’ambizione di Giasone prevale sino al punto di ripudiare la moglie e a chiedere in sposa Glauce, giovane figlia del re Creonte. La vendetta di Medea è terribile: Il dono delle vesti maledette farà impazzire Glauce e la condurrà al suicidio insieme al padre, quindi Medea ucciderà i figli, frutto dell’amore per Giasone, non permettendo che il padre tributi onori funebri alla prole perduta.

Due ore di film con pochi dialoghi ed una confezione scenica esteticamente perfetta ove primeggiano campi lunghi sul quale predominano i primi piani della divina Maria Callas che Pasolini immortala in primi piani una bellezza regale di cui il regista si innamora perché sublime sublime. Il regista narra, in fondo, la frattura tra mondo naturale e mondo civile evidenziando  il conflitto tra mondo antico primitivo, dominato da emozioni ed istinti, e il mondo moderno, dominato dalla razionalità e dall’egoismo. Medea che abbandona il suo mondo antico rappresenta il passato ed incarna il conflitto con il presente e lo scontro tra individuo e società, fonte principale di alienazione dell’uomo moderno. Maria Callas, con uno sguardo fisso e allucinato è perfetta nel ruolo di donna che tradisce il suo popolo, conquistata dall’amore.

Medea è anche un Poema sul Terzo Mondo, inventando una scenografia nuda tra Siria e Turchia per riprodurre la Colchide, con la visione di riti barbari e culti magici legati, ma anche il desiderio di parlare di “diversità”.

Il finale è inatteso incandescente ed evanescente: una alternanza di visioni oniriche e sequenze reali incalzanti per esplicitare il suicidio annunciato tra le fiamme (sogno) ed il salto dal dirupo.

Medea è la strega maledetta figlia dei paesi barbari  “Non ti vogliamo, perché sei diversa!” ma anche purezza del passato prima dell’avvento del mondo borghese, la donna destinata alla sconfitta totale, che vince solo non rinunciando alle proprie origini e che uccidendo i figli nega ogni possibilità di sopravvivenza al suo stesso mondo.

Colpisce la regia potente e solenne; si notano movimenti di macchina volutamente stranianti, panoramiche suggestive e frequente uso della macchina a mano. Il campo umano e di passione reale è quello tra la Callas e Pasolini che durante il film si innamora della Divina…(anche se il suo amore è diverso da quello che la Callas nutriva per il regista, un rapporto di dolcezza raccontato poi nello straordinario documentario tragico di Sergio Naitza del 2017 “L’isola di Medea” in cui a più voci (da Ninetto Davoli a Piera degli Esposti, a Dacia Maraini) si narra di questo unico incontro tra Pasolini e la donna della lirica, che si innamora in maniera semplice ed unica ed anche innocente del regista con cui si scrisse per anni.

Un film visto da me per la prima volta, che mi regala una visione epica in cui campeggia il viso della Callas che mi dona l’idea di un cinema monumentale, destinato a non perdersi a rimanere innalzato e purissimo come il cinema deve essere.

Ed in questo Festival pasionario si parla tanto di Maria Callas ripresa in ogni dettaglio nel documentario “Maria By Callas” di Tom Volf, in cui davvero scorre davanti la vita intima e personale della Callas, il suo tragico e travagliato destino che la rende privata di quell’amore che tanto desiderava, ripresa nel suo splendore ed anche nelle sue cadute. Le immagini rivelano…ciò che non sapevamo, aprono tendine per visionare il mondo segreto e sofferente della Diva per mostrarla nei suoi trionfi e nel segreto di un amore confessato a sé e destinato alla immortalità. Maria aveva origini greche, all’anagrafe il suo vero nome era Anna Maria Sophia Cecilia Kalos (contrazione di Kalogeropoulos). Il regista Tom Volf ha ricostruito la vita della grande soprano, dalla giovinezza fino agli ultimi tragici momenti. Ha girato l’Europa e l’America per trovare del materiale inedito, personale, che potesse rendere omaggio ad un talento unico. Per Volf, Maria Callas è un libro aperto davanti al giornalista che la intervista: è sicura di sé, ma già piena di rimpianti.

Il pregio di Maria by Callas è quello di separare il personaggio pubblico da quello privato, in altre parole: la leggenda targata Callas da Maria, una signora “comune”. Il documentario ci porta dietro le quinte, ripercorrendo una carriera straordinaria, dalle lezioni di canto alla consacrazione del 1951, quando la Donna aprì la nuova stagione alla Scala. Il film si concentra sul lato artistico. Volf si schiera dalla parte della Callas, e la dipinge come uno dei più grandi personaggi del Novecento. Punta i riflettori sui pregi di Maria rappresentandola come un’incompresa sempre sfortunata con le questioni di cuore, spesso attaccata ingiustamente dalla stampa, come quando annullò uno spettacolo a Roma per una raucedine, che fu scambiata per un capriccio. Tutti la condannarono, e per lei rimase una ferita sempre aperta. Il lavoro sul materiale d’archivio è meticoloso. Sul grande schermo si alternano immagini in bianco e nero, a colori, fotografie, prime pagine dei quotidiani, lettere personali e video in formati diversi: ed è descritto il bel mondo di allora: Grace Kelly, Pier Paolo Pasolini, Luchino Visconti, Elizabeth Taylor e molti altri. E’ un film completo sulla vita tra luci ed ombre di una diva immortale.

Alla divina Ninni Panzera dedica un giorno intero del Festival legato all’opera in generale ed a Bellini in particolare il “Casta Diva Day” in cui abbiamo potuto vedere tre film tutti di Carmine Gallone Il film del 35 con Marta Eggerth “Casta Diva” e la versione inglese “The Divin Spark”, entrambi i film hanno la stessa protagonista e diversi attori, e sono il risultato di un amore evidentemente esposto per Bellini e la sua vita.

Si tratta della biografia romanzata del compositore Vincenzo Bellini (Sandro Palmieri), dagli studi al conservatorio, al successo della sua opera più famosa, lNorma, inizialmente fischiata dal pubblico ma poi salvata grazie all’intervento di Maddalena Fusaroli (Màrtha Eggerth) che vi inserì una canzone a lei presumibilmente dedicata negli anni della giovinezza. Casta Diva si aggiudicò la coppa Mussolini (premio al miglior film italiano) alla terza edizione della Mostra di Venezia. Gallone girò anche una versione inglese dello stesso film intitolata The Divine Spark (1935).

“Casta Diva” rimane però un film di pura fantasia, romanzato, un’invenzione che si appoggia sulla vita di Bellini, Gallone gira due film nel 1935, versione italiana e versione inglese (con attori diversi), e poi nel 1954, a colori. La sceneggiatura è quasi identica, ci sono differenze (nel primo film c’è Rossini ma non Donizetti, nel secondo c’è Donizetti e non c’è Rossini) ma tutto sommato le due versioni possono essere considerate identiche perché tutto ruota intorno all’amore tra Vincenzo Bellini e la giovane napoletana Maddalena Fumaroli, figlia di un importante giudice. Del tutto inverosimile l’idea che una scena complessa come quella di “Casta Diva” possa essere inserita nella Norma all’insaputa del compositore, basandosi su un semplice foglio manoscritto. Bellini non era figlio di un anonimo maestro di canto, ma di un Maestro di Cappella, organista e compositore, una famiglia di musicisti già a partire dal nonno (di origini abruzzesi). Il film è costruito intorno a Martha Eggerth che certo non può dirsi una gran voce e neppure una ottima attrice.

La versione inglese, “The divine spark” (“La scintilla divina”) in Germania ebbe il titolo “Maddalena”. E’ sicuramente vincente la idea di rendere visibile questo film altrimenti introvabile. Il merito di questi film è quello di essere validi e divertenti film opera che tengono lo spettatore incollato allo schermo sino alla fine.

Insomma Ninni Panzera si diverte a mostrare tutti i legami tra il cinema e l’opera mostrando anche come la stessa entra in relazione anche con gli spot pubblicitari, Certamente i piu’ belli e sognanti: dal 1997 The Kiss inaugura la campagna pubblicitaria per i profumi di Jean Paul Gaultier e racconta la stessa seducente storia fra un marinaio (Le Male) ed una donna (Classique) accompagnati dalle soavi note di Casta Diva dalla Norma di Bellini. E lo spot ha sicuramente qualcosa in piu’ diventa elegante e Ninni coglie questa eleganza e la ripropone al pubblico che vede qui non solo un cinema trionfale di immagini perfette ma anche il vero legame che unisce la produzione nel cinema alla pubblicità con la moderna conoscenza del Tax credit per cui è oggi possibile far entrare persino nel titolo di un film il produttore di un marchio come nel famoso film “Il diavolo veste Prada”. Quindi il Cinema sposa il commercio che diventa sublime proprio attraverso l’immagine totale e perfetta specie se commentata dalla lirica. Diviene cioè operazione colta.

Lo testimonia proprio il nuovo episodio della saga pubblicitaria, ormai divenuta un ‘cult’ che vede riuniti la coppia Classique e Le Male nel bacio più lungo della storia della pubblicità: 15 anni fa, per la prima volta, la bella e il suo marinaio si baciarono sullo schermo. Da allora incarnano gli ‘amanti terribili’ della profumeria.

L’epopea, cominciata nel 1997 con ‘Il bacio’, narra di una storia d’amore basata su un continuo gioco di seduzione e sull’inversione dei ruoli convenzionali, in perfetto stile Jean Paul Gaultier.

Nella nuova campagna ‘On the Docks’, al ritmo della Casta Diva, la femme fatale e il marinaio si amano, si desiderano, si lasciano e si ritrovano. Dalle cuccette della nave all’appartamento-boudoir in un crescendo di passione e desiderio. Firma la regia Johnny Green.

Presente al Festival  il regista Marco Bellocchio cui l’Università di Messina conferisce laurea honoris causa e di cui sono proiettati ben 4 film dello stesso innamorato dell’Opera anche Lui e di cui ho rivisto con piacere  “I Pugni in tasca”, un film che oggi sembra essere più che mai moderno nella esaltazione della ribellione malata, un film del 65 che voleva anticipare il 68 con il negare la famiglia come primo simbolo di potere  e causa delle claustrofobie personali, che diventa oggi anticipatorio di ciò che deve cambiare in una nuova società non piu’ basata sulla famiglia ma sulla negazione della stessa. Fa riflettere perché al sessantotto seguirono anni ripristinatori del potere e la rivoluzione fallì. Oggi si è tornati amaramente in quella Villa del terrore nella quale solo pochi si salvano, perché molto più cinici ed aspri e dove padri e madri non riconoscono i loro stessi figli. Bellocchio premia anche il corto vincente giudicato da una Giuria presieduta da Marco Dentici che torna nella sua Messina restaurata nella cultura e per la cultura.

Un evento speciale chiude il Festival regalando una emozione nel rivedere le immagini del terremoto del 1908 commentate dal vivo dal musicista Franco Battiato. Si riproduce l’evento del 8 Dicembre del 1998 quando fu chiesto a Battiato di musicare le immagini vive e toccanti dell’evento in una serata al Teatro Vittorio Emanuele di Messina con la presenza di Manlio Sgalambro. La registrazione di quella serata a distanza di ben 25 anni diviene un momento simbolo di rinascita “Partitura audiovisiva per un paesaggio di macerie” in cui predomina in mezzo alla rovina la quieta rassegnazione dei sopravvissuti che emoziona e fa pensare che nel disastro si intravvede lo spirito di un popolo forte che vuole tornare ad essere vivo.

Il Messina Film Festival non è stato solo immagini e musica ma anche mostre, concerti e presentazione di libri nel segno importante di una vittoria della vita sulla dimenticanza, ove il vero vincitore è il “condottiero” della esperienza culturale che ha anche indagato il fumetto ed il disegno e quant’alto l’opera ha sublimato e sublima ancora. Ciò vuol dire che sono gli uomini di talento e di pensiero quelli che cambiano un percorso, un modo di vivere, quelli che non cambiano idea, nonostante delusioni ed apparenti, solo…. apparenti silenzi.

Anna Maria Mazzaglia Miceli

 

 

 

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