OLIVER STONE: UN ARTISTA INSUPERABILE ..UN GRANDE UOMO

Quando incontri Oliver Stone accade una magia…Te ne innamori..perchè trovi in Lui la completezza che cercavi, quel capire il mondo andando oltre l’apparenza dei fatti, molto ben piu’ in là dell’anima ed è come una presa di coscienza non solo letteraria a sociale una vicenda umana che ti tocca per il rigore cinematografico. Lui rispetta il cinema e questo rigore personale lo traspone nel vedere il cinema restando in sala, spiegando. o rimanendo fino a tarda sera al Teatro Greco quando tutti erano corsi a rincorrere cosa? non so…l’ultimo panino? Una cena?Una serata in discoteca? Pur di continuare a restare bendati, sazi di televisione e di parvenza. Invece Lui lascia le prime file e viene proprio in cima a vedere dall’alto immergendosi nel Grande schermo, il suo film…forse ripensa agli orrori del Vietnam. Ed all’incontro in sala già si capisce perché è un premio Oscar, perché ti fa una analisi geopolitica spietata realistica, quella che ho fatto io, nel giornalismo, parlando di una America che controlla il mondo attraverso sistemi di continua scommessa sulla guerra che genera i capitali. Così ci regala nel pomeriggio, in anteprima mondiale il film da Lui prodotto, Revealing Ukraine che è un tuffo nel tumultuoso mondo della politica ucraina. Composto da interviste condotte da Stone al leader dell’opposizione ucraina Viktor Medvedchuk, o allo stesso Putin offre una visione “dall’interno” della politica di un Paese diviso, che rivela ciò che i principali media non mostrano. Certo che l’Ucraina era un paese molto industrializzato e capace di autogestirsi, persino aveva le basi spaziali, quando questo Paese, come la Siria comincia a far gola all’America e le lunghe interviste mettono in luce come il governo ucraino ha fortemente contribuito alle elezioni americane mentre Sorus iniziava ad impossessarsi di tutto. E Putin? Sembra star fuori da tutto questo? In parte perché Russia ed America da sempre controllano i territori generando guerre e colpi di Stato che non sono ancora finiti. Al Teatro Greco si resta come ipnotizzati a vedere questo film straordinario del 1989 Born on the Fourth of July (per 145’). Il film mostra la storia di Ron Kovic (Tom Cruise) che fu  un militare americano che tornò dalla guerra del Vietnam con una paralisi che lo costrinse ad una immobilità precoce dal torace in giu’ e da allora vive sulla sedia a rotelle, accettando di combattere l’America in nome della Pace Mondiale ed avvertendo i ragazzi di come l’America fomenti l’odio raccontando ideali che non esistono, una patria che è solo guerrafondaia. Ron Kovic è un amico di Oliver e lo saluta dallo schermo facendo sentire la sua presenza in sala. E’ la guerra che fa disperare ma è la guerra che fa cambiare ideologia che da la forza della ribellione anche contro se stessi e la disperazione. Ron sa che la sua è una redenzione lenta che passa attraverso le urla, l’alcool, la rabbia ed anche la richiesta di un perdono necessario: Lui crede di aver ucciso un amico, perché in quell’inferno si spara anche contro le ombre.

Tratto dal romanzo autobiografico scritto dallo stesso Kovic, Nato il quattro luglio è una delle pellicole più celebri della filmografia di Oliver Stone. La tendenza cinematografica del regista a usare il mezzo di comunicazione per denunciare temi sociali di grande rilievo Stone torna a parlare di Vietnam senza più raccontare la tragedia dall’interno, come fece con Platoon (1986), ma fissando la sua ricerca sulle irreversibili ferite lasciate dalla guerra nel fisico e nell’animo anche dopo la fine di un conflitto. Ma vi è una forte denuncia perché il colpevole di questo disastro umano è la nazione americana, il bisogno di spronare e scuotere per destare forse anche noi dal sogno americano quello contrabbandato dai media. L’America sfrutta il popolo per i suoi interessi capitalistici, apparendo una Nazione finta, ma Roma non è diversa. Li l’FBI controlla tutto da noi la CIA ed i servizi segreti inventano attentati che sono tutti di Stato. Nato il quattro luglio è un film coraggioso e rischioso, mi chiedo come l’America lasci in vita Oliver …forse perché non fa paura…., tanto è un artista che a me ricorda Pasolini il poeta della denuncia che fa i nomi di tutti e che stranamente muore, in una notte dannata preparata in ogni dettaglio. Tom Cruise ci mette molto impegno e si guadagna la prima nomination all’Oscar in carriera. Non vinse, ma la pellicola ottenne altre due statuette: regia e montaggio. Il film narra della grande illusione americana….i ragazzi venivano spronati ad arruolarsi a diventare Marines …sarebbero stati gli eroi della patria. Nessuno racconta a questo bellissimo ragazzo che vivrà solo atrocità che dovrà uccidere innocenti e che resterà vittima di una infermità grave. Ma Ron , dopo aver fatto pace con i suoi fantasmi diventerà il Mito delle folle contro la guerra.

 

“Penetrare il cinema di Oliver Stone è come tuffarsi in un mondo profondo in un abisso dal quale non puoi uscire,se non rafforzato come idealista. Per cui è un confronto di anime e sguardi in cui le ragioni della testa e quelle del cuore sfiorano continuamente un irreversibile ed insanabile messa in discussione, ma non sapevo chi era Stone. In me dissi costui non è solo un artista ma un grande uomo. Stone, prima di approdare dietro la macchina da presa, aveva vissuto ben altro, era il figlio di un broker di borsa di origine ebraica, Lou Silvertsein (ribattezzatosi poi Stone) e della francese Jacqueline Goddet (meno male che mia madre mi ha salvato portandomi in Europa –dice Stone- all’incontro in sala) ma non amava gli studi universitari e li abbandonò per imbarcarsi alla volta del Vietnam, dove parteciperà a quel conflitto/incubo che sarà centrale nei suoi film. Più di un anno sul campo di battaglia, per vivere le stesse ferite e atrocità che racconta nel cinema ed anche lui torna con una medaglia al valore. Quando rientra in patria Stone affronta il dramma del reduce, tra alcool e droghe, e un arresto per possesso di marijuana. Un cammino necessario forte ed umano che lo porta verso quella sana passione che ha salvato ciascuno di noi da altri incubi di societa’ incivili: il cinema! Si iscrive così all’University Film School di New York, dove si diploma agli inizi degli anni Settanta. L’esordio alla regia è del 1974, con Seizure, un horror low budget: un inizio di genere, che già rivela quell’attenzione per i codici stilistici ancora in radice. Horror sarà anche il secondo film, La mano (1981), assurda e ma divertente storia di un fumettista (interpretato da Michael Caine) che perde la mano in un incidente, per poi scoprire che il suo “pezzo” mancante riesce a vivere autonomamente. Il film è tratto da un romanzo di Marc Brandel, e anche qui emerge un’altra tendenza tipica di Oliver Stone: quel suo riferirsi a storie di altri perché ama la letteratura. Un cinema che guarda al passato senza il quale non potrebbe capirsi il presente. Ed è proprio scrivendo come sceneggiatore che Stone ottiene i primi successi. Nel ’78 firma lo script di Fuga di mezzanotte (che racconta, guarda caso, la vera avventura di Billy Haies). Nel 1983 riadatta il mitico Scarface di Howard Hawks e offre a Brian De Palma un’immensa parabola di ascesa e caduta, altro specchio deformante del sogno americano. Poco dopo, l’incontro con Michael Cimino, che veniva fuori dal fallimento del bellissimo film I cancelli del cielo. I due riprendono un romanzo di Robert Daley e danno vita a L’anno del dragone. Qui esplode la scrittura potente di Stone che Cimino deve sostenere nel suo cinema superando davvero i propri limiti, attingendo, tramite il genere poliziesco, alla tragedia di un individuo e di una nazione, costantemente costretta a ripensare ai suoi sogni di potenza e grandezza. Ne viene fuori un film letteralmente stra-ordinario, che porta con sé ogni regurgito di coscienza . Sta iniziando la malattia segreta della grande America, che sarà il tormento del futuro regista. Per Stanley White il Vietnam è un ferita che sanguina e che si acuisce ad ogni successivo imbroglio nel mondo. Stone ha fame di giustizia, non di vendetta ed il suo cinema è trasmutazione e catarsi. Oliver Stone ci regala così anche un altro spaccato di quel mondo deviante nel 1986 con Platoon, che trionfa agli Oscar portando a casa quattro statuette, tra cui quella per il miglior film. Platoon in realtà comincia a svelare la grande contraddizione del cinema di Stone: da un lato la forza contestatrice del narratore, dall’altro il sostanziale rispetto di codici stilistici che a me piacciono moltissimo. il film, pur nella complessità, pone una visione del mondo dualistica e di contrasto tra il Sergente Grolin/Willem Dafoe e il Sgt. Barnes/Tom Berenger. Credo che tutto il cinema pur apocalittico ed immenso di Stone si risolva in questo, anche nelle interviste successive e nel cinema di oggi  c’è sempre il ritorno del doppio. Del confronto, della indagine mani e cuore ma soprattutto occhi negli occhi, perché la verità , la giustizia nascono da una perenne lotta tra il male ed il bene. Stone sconvolge i toni stilistici tradizionali, diventa quasi documentaristico nel suo “narrae la realta’ con la realtà” . Io credo che provenga da un cinema che ben conosce per cercare di stare sempre piu’ addosso alla denuncia.e la sua vittoria sta nel montaggio frenetico, nei ritmi rapidi nel sovrapporre documenti e prove. Ciò accade oggi ma accadeva anche in Wall Street (1987), che aspira a stravolgere l’inferno dell’economia eccessiva del periodo reaganiano, in nome di una vecchia America fatta di sudore e giustizia. E ancora, nel decennio successivo, film come Natural Born Killers (1994) e U-Turn (1997) appaiono,muoversi nel nuovo che trasmigra verso l’immaginario e la ironia. Ma la poetica del regista newyorchese resta questo desiderio di riscrivere la Storia,  e soprattutto svelare le contraddizioni del mondo in cui siamo immersi. L’assassinio Kennedy di JFK – Un caso ancora aperto, svela questo suo intento di trovare le vere ragioni del perché le cose andarono diversamente, sino ad arrivare alle radici profonde dell’Occidente (Alexander) e alle forme del documentario “interventista” (ComandantePersona non grata). E, film dopo film, si riconoscono le tracce di un’intima maturazione che ancora non si compie, espressione di una visione del mondo che ormai trascende anche il dualismo per attingere a una spiritualità più elevata e a una comprensione più partecipe dei drammi individuali e collettivi. Stone non si nasconde mai e lo fa apparendo anche nel film, quasi a lasciare la traccia di sè e trovo il suo coraggio le sue battaglie come quelle di un Titano che sa esattamente cosa v      \\uole dal mondo…forse più completezza, piu’ verità ma è altrettanto consapevole che questa generazione è pervasa da un senso di distacco che disperatamente e costantemente Stone scuote. Lui non vuole che si dorma…ma che si sia desti e pronti senza chiudersi nella desolazione di un isolamento. Così come avrebbe desiderato un teatro Greco gremito sino alla fine, invece che pochi pasionari innamorati della sua forza carismatica. Sì – mi dico alla fine del film – anche io non potrò cambiare….non sono una questuante dietro le porte, perché adesso vedo e vedo attraverso gli abiti e le movenze, vedo una crisi potente universale che combatto da Avvocato con la difesa dei diritti umani. So che non basta e non basterà mai al capitalismo. Ma sappiate tutti che il Cinema è insinuante e noi passeremo ma il cinema spirituale combattivo eccessivo anche di Stone, sarà peggio di un libro di Storia, sarà la spina nel fianco che ci permetterà di essere migliori.

Anna Maria Mazzaglia

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