MISERIA&NOBILTA’: IL TEATRO DI LAZZI E SOGNI DI MICHELE SINISI

 

Prosegue a Messina la stagione di prosa, al Teatro Vittorio Emanuele ed è veramente interessante il percorso di crescita ed avanzamento nella selezione dei lavori teatrali proposti quest’anno, accomunati dalla interessante logica di esporre al pubblico attentissimo la new age del teatro italiano.

Direi quasi una età dell’oro, una vibrazione d’anima in piu’ che innesta, in piecè teatrali anche conosciute, una nuova rilettura. Segue questa onda di mare vasto in cui immergersi e nuotare proseguendo per ognidove anche “Miseria&Nobiltà”, nella nuova messinscena di Michele Sinisi. che ci proietta a luci accese direttamente sulle tavole di un palco nudo, quasi una grande sala prove in cui non vi è nulla.

E che si tratti di nuovo lo avevamo capito anche dal titolo, dove l’uso della & commerciale, che è la antica et di Cicerone e l’ampersand inglese, un semplice logogramma in fondo che, nell’alfabeto, viene dopo la zeta, ci fa subito pensare ad una inclusione estensiva, tipica del modo antico-moderno di considerare le due facce della medaglia così intimamente unite. Mai, come in questa modernissima re-visione della commedia di Eduardo Scarpetta del 1888, di cui ricordiamo la celebre riproposizione negli anni 50 nel film di Mario Mattoli prodotto da Eduardo de Filippo, mi sono sentita sospesa tra inquietante quotidianità e/o attuale triste cronaca, racconto o, meglio, ricordo e sogno che mi fa dire, alla fine dello spettacolo, è “realmente geniale”… E’ proprio degli animi profondi una commistione di così tante sensazioni tutte rese nella burlesque ri-visitazione di un testo ma anche, sicuramente, avere una conoscenza radicata del teatro da poterlo trans-formare in una festa che ne ricorda le origini. 

E così arriva un tavolo rozzo e un bidone che serve da sedia per tutti gli 11 sorprendenti interpreti; la lingua spazia per tutta Italia. Siamo in un Nord dove, in un bilocale, convivono due poverissime donne baresi, in eterno contrasto tra loro, la figlia di una di loro che è evidentemente cresciuta fuori poiché chiama il papà babbo e il figlio adottivo dell’altra che è solo la convivente fallita sartina di uno dei due uomini amici: il mitico Felice Sciosciammocca scrivano senza lavoro e Pasquale, rimasto anche Lui al verde perché nessuno fa piu’ salassi. In questo spazio anonimo arriva subito il milanese proprietario della misera casa che si dispera poiché i poveracci non pagano l’affitto, ma di lì a poco anche un aitante ragazzo, di origine terrona ma arricchito che, da tempo, fa la corte alla ragazza e vorrebbe chiederla in sposa. Mentre i due uomini sono fuori le donne litigano, quasi dimentiche della miseria in cui vivono, mentre Peppiniello viene scacciato di casa perché è una bocca da sfamare da colei che non gli è madre. In questo miserabile mondo entra il grottesco: un vecchio cappotto di matrimonio del 48 che dovrebbe essere dato in pegno per acquistare il pranzo ma…ecco che il ritorno a casa dei due uomini mette in modo la comicissima rappresentazione di un desiderio e la commedia prende il via con le gags mirabilanti dei due che si immaginano un pranzo luculliano con spaghetti digeribili, uova freschissime, mozzarelle grondanti e vino frizzante, dimentichi di quella miseria nuda; hanno un humor che è proprio di chi di ironia e di nulla vive. E qui inizia il ricordo del film col grande Totò, il teatro classico visto e rivisto tantissime volte, tanto sempre nuovo era, per noi… bambini degli anni 50 che di quel magico attore risentiamo la costante voce, nella memoria di una infanzia semplice, in cui la miseria ci circondava, nel paese smorto del dopoguerra fatto di poche case, senza arredi, e di una sala appena asfaltata, dove era arrivata la televisione, quella bacchetta magica che ci riuniva tutti seguendo e sognando, al di là di ogni possibile realtà, dove non eravamo, tuttavia arrivati, alla distruzione del presente, ma avevamo il desiderio di penetrare l’oltre, forse anche perché la piccola scatoletta posta in alto come un cimelio ci proiettava in mondi diversi, quelli in cui i mariti….. magari delle donne rimaste sole sarebbero tornati dall’ Americaaaaaaaaa! Da quel Nuovomondo di Emanuele Crialese portando la ricostruzione….Io non so se Michele Sinisi fu mai uno di quei bambini che osservava attorno a sé quel realissimo nulla in cui predominavano i sentimenti, quello che so è che il suo spirito di penetrazione è stato uguale al nostro ed, infatti, Lui è un regista non fuori scena ma presente sul palco, sia quando dirige le sue luci in un angolo per fare un omaggio – citazione a Toto’ o allo stesso Troisi richiamando gli attori al loro ruolo : Eh No! non si tratta di un’altra commedia ma di questa!” sia quando si sdraia sulla scena per correggere gli attori come si tratti di una prova in cui chiaramente sottolinea la sua visione, sia quando si tramuta nello stesso Peppiniello “Vincenzo mi è padre a me”, sia quando compie un miracolo della trasmutazione: un grande schermo si srotola bianco sin sotto i piedi degli attori che entrano nel meta-teatro, come una “passeggiata nel latte bianco ed incorporeo di Nuovomondo, passano nella finzione, nella figurativa pittorica di Watteau, nello schermo che accoglie, nobili tutti, i miseri e i nuovi ricchi, continuando una farsa coloratissima con nuovi vestiti clowneschi, messi apposta su quelli poveri, usciti da un vecchio armadio rosso che rotola sul palcoscenico e che è anche la porta di entrata del Marchesino (come da una scatola magica di un gioco o da un antica cassa delle meraviglie), e che girata in modo magistrale, diventa anche un doppio del Sig. Bebè e del marchesino. In questo nuovo candido spazio si assiste a una vero mutamento del teatro trasmigrato nella commedia dell’arte: alcuni personaggi come Gemma e lo stesso Bebè si muovono nella loro caratterizzazione come marionette con gesti eccessivi, mentre l’armadio è un praticabile necessario che funge anche da sipario rosso-passione. E che dire di quel lampadario che arriva penzolando da una corda direttamente in scena. Mezzi poveri, grande lavoro attoriale, grandi invenzioni, grande regia e poi eccolo di nuovo in scena il regista a dire BASTA a colei che vuole far finire la festa in dramma…non ci sta a che si interrompa “la sua…la nostra..”. festa di teatro immaginata, sognata e ridipinta su un telo che è anche cinema, straniamento e grande metafora dell’immaginario perenne. E Lei va …tra il pubblico…scompare tra la folla, mentre la luce si dirige in un punto preciso quello della memoria: un brivido passa lungo la schiena risentendo la voce di Totò mentre una altra inversione si compie e ci accompagna verso il finale: la grande magia siamo noi spettatori che dobbiamo, con la nostra intuizione, finire lo spettacolo nella luce: Sinisi la rivolge verso noi ….un lampo ancora nei nostri occhi che hanno visto, guardato, sui nostri occhi ancora sorridenti per i grandi spaghetti che cadono dall’alto sul mondo della miseria e che si sono immersi per un secondo nel gruppo scultoreo michelangiolesco della Pieta’ formato dagli attori quasi per sottolineare l’incontro della madre vera col figlio perduto Peppiniello.

Ma poi esco in strada e sento i critici dei giornali scontenti ….addirittura criticano il dialetto barese, mentre io continuo a ripetere che ho assistito a un lavoro assolutamente geniale di cui ho compreso tutto e di cui mi è rimasto impresso ogni istante vissuto come se fossi distesa con Sinisi lì a sognare su uno schermo in parte squarciato come quello di Orson Welles …ma possibile – mi domando – che qui si tenti ancora di non capire che l’esplorazione di un teatro e nel teatro è un atto di coraggio quando raggiunge la sintesi di una pienezza elegante, a volte, anche commovente? Mi viene da pensare che la gente più è intellettuale più si involve e non si lascia trasportare in ciò che in fondo è antico. Totò era una grande maschera misconosciuta al suo tempo e valutato solo da Pasolini e che dire del teatro dei burattini e delle loro fantasticherie colorate o di quello dei pupi che passò attraverso la meravigliosa riflessione di Pirandello?

Ed allora così è se vi pare Signori ma questa produzione targata Elsinor è finalista premio Hystrio Twister 2016, Michele Sinisi…il grande bimbo sull’erba…premio ANCT – premio della critica 2016. Semplici e superbe le scene di Federico Biancalani. Tutti magnifici gli attori Diletta Acquaviva, Stefano Braschi, Gianni D’Addario, Gianluca delle Fontane, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci, Ciro Masella, Stefania Medri, Giuditta Mengucci, Donato Paternoster e lo stesso Michele Sinisi.

Addio mia bella favola che mi si addensi in core …che nasca sempre amore se capir sai che nulla mai muore…che tutto si ridesta perché il teatro è la festa che sempre manifesta un mutamento….momento per momento.

Anna Maria Mazzaglia Miceli

 

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