L’AIDA INCANTA NEL RICORDO DI UNA NOTTE FATALE

La regia di Carlo Antonio De Lucia tra Egitto luminoso e proiezioni di fondali moderni immersi in atmosfere multimediali

Aida ricorda una notte che Messina non può ignorare, .la distruzione della città. Infatti nel dicembre1908 dopo aver assistito alla messa in scena della monumentale opera verdiana, i messinesi stavano tornando a casa felici e distesi quando, nel primo sonno, li colse il terremoto che in parte distrusse anche il Teatro Vittorio Emanuele, così raccontava mio nonno sorpreso dal sisma quella notte mentre di ritorno dal Teatro, in frak e mutande, si salvò in quanto sveglio, riparandosi  sotto una architrave, mentre vide sua madre morire perché corsa al balcone per gridare aiuto, assistendo al crollo della facciata della sua casa. Ed eccomi qui, anche io intenta a risorgere dai miei terremoti personali che videro il mio tempo fermo, lontana dal mio amato teatro. Dunque una grande emozione per questo ritorno ed anche il pubblico è numeroso ed accoglie l’opera con entusiasmo.

A distanza di tanti anni, lo stesso Teatro riporta in luce il dramma di Aida con la regia di Carlo Antonio De Lucia, la direzione del maestro Carlo Palleschi, l’allestimento di Opera Production C. D. GmbH – Austria, il coro lirico “Francesco Cilea” diretto da Bruno Tirotta e il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Odessa.

L’impianto scenico è potente e monumentale e si pensa ad un esotismo che dovrebbe trasparire dalle note,  invece Verdi (che pare abbia collaborato anche alla stesura del libretto)innesta il suo gusto italiano, alternando toni maggiori a minori con leggerezza, tra una oboe il flauto e l’arpa intessendo nel trionfalismo, l’intimo che trasuda da tutte le parti  e che la scena commenta nella narrazione doppia, dietro ed avanti la tenda dipinta a mano che si illumina in treD per segnare lo spartiacque  tra la rappresentazione e riproduzione dell’esterno ed il momento intimistico in cui, senza praticabili, si narra di ciò che i protagonisti provano. Il sipario diventa la parete divisoria che fa spazio alle scene più sentimentali mentre il suo sollevarsi apre la vista alle scene corali ed esterne. I due piani psicologici esistono già dal momento dell’Ouverture da cui emergono le tinte, così care a Verdi, mentre il contrappunto emerge dal momento sacerdotale, che fa da contraltare alle voci estreme dei protagonisti e al disvelamento dei loro segreti. ll dramma emerge dall’oscurità. Semibuia diventa la scena che raccoglie le confessioni di Radamès, come altrettanto in ombra è Amneris sia quando folle di gelosia lancia un anatema, sia quando pentita implora pace e perdono. Il sipario si alza ed appare un esterno trionfalistico che sottolinea come questo “fuori da sé” sia Egitto…Vediamo obelischi che sfidano il cielo, sfingi e leoni con la testa di ariete e grandi ventagli ed anche corazze e mantelli ed elmi immensi che sembrano enormi pesi che denunciano la fisicità delle vittorie mentre i colori variano dal bianco al dorato ed al pastello per diventare rossi e caldi di passione. L’elemento moderno è il fondale multimediale su cui vengono proiettate immagini dell’Egitto e le acque del Nilo per chiudere con il Teatro Vittorio che emerge nitido accanto alle macerie del terremoto. Il coro Cilea è fantastico, come sempre, presente o nel retro palco, impegnato nel trionfo della vittoria come nelle cadute sofferte dei personaggi centrali.

Notevole l’orchestra del Teatro che è sempre pronta a sottolineare l’enfasi nella opera di Verdi. Il regista Carlo Antonio De Lucia ha una conoscenza profonda della sintesi che nasce dai contrasti della storia narrata, talmente tanto che i passaggi dal pubblico al privato non si notano e tutto scorre sino al tragico finale con continuità, esaltando l’intimismo dei personaggi.

Oltre tre ore di opera passano veloci ed assicurano che tutto si compia come ineluttabile destino, senza percezione del tempo.

Bellissimo il velo di pioggia…la sabbia che scorre sia all’inizio che alla fine dell’opera per sottolineare la similitudine o la coevità di accadimenti lontani: la sabbia è deserto ma anche la sabbia che resta dopo la distruzione della città di Messina mentre imponente emerge il Teatro, come a sottolineare che la cultura salva perché arte eterna. La città risorge e si ricostruisce mentre il tempo non esiste ma esiste l’uomo e la sua capacità di amare oltre la finitezza della morte. Accettano la sorte Aida e Radamès questo ultimo condannato dai sacerdoti per alto tradimento viene seppellito vivo accanto ad Aida che lo raggiunge per non lasciarlo più. I due innamorati si dileguano nel buio del palco, si spegne la luce ….voleranno in un altrove in cui non bisogna sempre vincere.

Resto affascinata dal light designer Giuseppe Calabrò che usa sapientemente la luce disegnando i contorni di ogni situazione, si vede che ha una preparazione profonda questo artista che ha lavorato con Letizia Battaglia, che ruba ai grandi interpreti la bellezza (da Martha Graham a Maurice BeJart e a Pina Bauch) , carpendo ogni immenso sospiro di questo mondo soffuso di bellezza che deve occuparsi di immagini e un plauso va allo scenografo Riccardo Roggiani che ha un talento di evidenza. Bravissimi tutti i protagonisti dal soprano Oleksandra Chaikovska al tenore Walter Fraccaro al mezzosoprano Sanja Anastasia al baritono Giuseppe Altomare ai bassi Dario Russo e Paolo Vecchioli.

Naturalmente Aida ci lascia senza parole…la celeste Aida  che Verdi innalza e che non può tradire né la Patria né l’amore. E’ un vero trionfo accompagnato dagli applausi del pubblico in sala.

 

Ti potrebbe interessare anche: