LA TRAVIATA: UNA EMOZIONANTE OPERA LIRICA DI DENUNCIA

A Messina applausi a scena aperta alla prima di LA TRAVIATA di Giuseppe Verdi

 

La Traviata” di Giuseppe Verdi è, sicuramente per me. una opera emozionale ed emozionante che arriva ed irrompe nella mia vita, quasi inattesa, forse per farmi interrompere un isolamento che durava da tanto e che mi aveva reso cupa. Non sopportavo il mio Teatro dell’anima (Il Vittorio Emanuele di Messina) abbandonato e chiuso dopo la bella stagione dello scorso anno. Meritorio il lavoro svolto dal Presidente Luciano Fiorino, cui mi lega una stima infinita e una amicizia che risale a tempi lontanissimi ed il lavoro professionale di due direttori artistici come il preparatissimo Matteo Pappalardo (sezione musica) e la straordinaria Simona Celi per la prosa (il nome Celi nella mia vita è un riferimento generazionale importante) che avevano dato a questo Teatro, non solo tutta la loro preparazione ma anche la loro passione, ricostruendo dalle ceneri di “un senza economico” che risale a tempi passati. Sì il Teatro rialza la testa lo stesso giorno che ho deciso di farlo anche io…che coincidenza ! E dunque è come una prima volta…come un debutto….vedere la gente, ritrovare gli amati miei amici. Ed appena rientro nel mio tempio di osservazione, dove mi sono trovata ormai tantissime volte, per vedere un’opera che amo tanto, sento un fremito di gioia, come una forza nuova. Giuseppe Verdi era ed è un genio della musica, forse il più ascoltato, ed infatti credo tutti sappiano che La Traviata debuttava Il 6 marzo 1853 al Teatro La Fenice di Venezia, tra gli sberleffi del pubblico. Fu un debutto da incubo seguito da un successo che continua: Il tema che l’opera affronta considerato scandaloso, ma oggi, dopo oltre 165 anni è invece una delle opere più amate di Giuseppe Verdi. Dopo il successo con “Rigoletto”, il compositore era alle prese con la scrittura de “Il Trovatore”, ma la Fenice gli offrì un’altra opportunità …gli commisionò di scrivere una nuova partitura e nel 1852 Verdi si impegnò contrattualmente, assicurando la produzione per marzo 1853. Ma era in ritardissimo e così il caso volle che assistette alla rappresentazione teatrale di “La Signora Delle Camelie” di Alexandre Dumas figlio, che a sua volta, pare nello scrivere il romanzo si era ispirato ad una donna reale…. certa Alphonsine Duplessis che morì di tisi a soli 23 anni: la cortigiana più importante di Parigi, ruolo ben diverso dalla prostituta, elevandosi dalle sue origini operaie.

La tisi era il male dell’epoca se ne parla anche in un’altra opera di Verdi “La Bohème” , con una altra eroina del melodramma. Questo perchè la cronaca del tempo registrava il 25% di morti in Europa, vittime di questa tremenda malattia che durò, per quanto è a mia conoscenza, anche durante la guerra e subito dopo (ne furono vittime persone della mia famiglia che però guarirono). Mi sono sempre chiesta se non fosse una malattia creata da uno stress psicologico derivato dai molti contrasti, frequenti in quell’epoca, anche in seno alle famiglie nobili in cui padri colpevolizzavano i figli per piegarli ad un loro volere che non teneva conto delle loro inclinazioni. In questo senso nei racconti familiari di mia madre, colgo una chiave per una interpretazione psicologica della donna di quel tempo che quando era intelligente e sensibile si opponeva alle regole imposte come Violetta che simboleggia la libertà di ribellarsi ad un sistema retto sul compromesso e regole sociali desuete. Di solito erano le donne che compivano questi gesti estremi… rivoluzionando con la propria morte il senso della predestinazione. Ma chi fu la prima interprete di Violetta? Una stupenda Maria Spezia che era una cantante avvezza al virtuosismo, Verdi infatti semina nell’opera gorgheggi della protagonista come se esista un modo di narrarsi che ha il suo apice nella musica una scrittura particolarmente difficile con cui la protagonista richiama l’attenzione dello spettatore non solo su sé come centralità ma sull’espressione del dramma. Lo stesso Verdi dichiarava, infatti, che per il ruolo erano necessari mezzi vocali non comuni, non solo lui raccomandava “ci vuole anima”. Verdi, nonostante avesse lavorato incessantemente alle modifiche in previsione di una seconda rappresentazione, al debutto della sua nuova versione al Teatro San Benedetto, un anno dopo l’insuccesso, ebbe un’altra delusione: la critica definì l’opera “immorale”, Verdi aveva toccato il sistema dei benpensanti, stava mettendo in crisi il costume della sua epoca, ma da quel momento nacque un nuovo modo di intendere e vivere la modernità dell’opera che fu sempre un successo. Mi chiedo oggi, forse ci si cominciava ad interrogare sulla essenzialità dell’errore nella natura umana come possibilità di cancellare il peccato? Non lo sapremo mai …certo che, per me invece, La Traviata rappresenta il racconto perenne del dramma anche post-moderno ed eterno: la crisi dell’amore e della incapacità di comprenderne l’essenza e la evidenza della esigenza di questo sentimento nei rapporti sociali e/o familiari basati spesso sulla contrapposizione piu’ che sulla unità.

“La Traviata” è l’opera scelta Edward Lewis nel film “Pretty Woman” ove il regista invece opera la catarsi e fa della donna- Julia Roberts, una eroina vincente.

Ma ora sono di nuovo a Messina, le luci si abbassano e l’opera inizia con questa splendida duplicazione, un incipit di Verdi che narra di Violetta già malata ma che nasconde la sua malattia nello stordimento della festa, immersa in un mondo in cui il dualismo appare evidente sin da subito, attorniata da baroni e duchi nella vita della brillante ma oscura Parigi. E sin dall’inizio Verdi vuole preannunciare il finale… nell’attacco già del famoso tema (Amami Alfredo), è lì che Alfredo…in questo mondo ipocrita e disumano, le confessa, dopo un brindisi (il famoso Libiamo ne lieti calici) un amore inspiegabile nato da una visione personale, che non le fa mai dimenticare questa donna, che gli appare appunto come un’incantesimo di cui non capisce il senso. Violetta, rimasta sola, allontana da sé l’idea che sia possibile che veramente esista amore o un sentimento che somigli a questo, in un mondo apatico e degradato come lei lo percepisce, quasi sbeffeggiando “l’amor che fa soffrire” e sfidando se stessa (sempre libera degg’io folleggiare di gioia in gioia), ma Alfredo è fuori campo …forse sotto il balcone, ma mi piace immaginarlo come voce della coscienza della donna (amor amor è palpito….amor è palpito dell’universo). Attenzione alle parole che assumono una potenza insieme a quella che la musica richiede. Il secondo atto si svolge, senza cambi di scena, nella casa di campagna vicino Parigi (mi piace molto questa scelta registica giocata solo sulla presenza pirandelliana dei personaggi che pur provenendo da una epoca diversa e come se stanno cercando una direzione): come se Verdi salta tutti i passaggi possibili e sfidi la sorte. Che bisogno c’è di raccontare tutto? Ciò che è importante sono i momenti salienti per spiegare l’evolversi della vita: i due vivono insieme. Alfredo ormai sente la consapevolezza di questo amore, ma Violetta aspetta un ospite è Giorgio Germont, il quale annuncia a Violetta di essere il padre di Alfredo che, ormai completamente innamorato, avrebbe preso la decisione di donarle i suoi beni, ma Violetta non vuole e l’uomo si chiede allora “perchè il passato di Lei …l’accusa…”, Come se la generosità non possa appartenere a chiunque; Germont le spiega che ha anche una figlia che potrebbe non sposarsi più se Alfredo continua a perseguire un amore “insano” e Violetta gli rivela che lei stessa deve morire, ma l’uomo insiste…. Violetta dovrà inventare una scusa e lasciare Alfredo. La donna piange ma l’amore è rinuncia. Germont consola il figlio rimasto solo ( Di Provenza il mar il suol chi dal cor ti cancellò?), ma Alfredo fugge il suo pensiero costante è la sua visione…che sia una donna poco importa…e così la ritrova di nuovo in festa, accanto al Barone, ma lei mente per amore dice di amare Douphol, Alfredo furente fa un gesto orribile…Conoscete questa donna? (Ogni suo avere tal femmina per amor mio sperdea…or testimon vi chiamo che qui pagata io l’ho) e furente le lancia addosso i soldi….già….i soldi!!!! . Violetta crolla al suolo ma Germont lo riprende (Di sprezzo degno se stesso rende chi pur nell’ira la donna offende..). Alfredo si pente subito e Violetta (Alfredo, Alfredo….di questo core non puoi comprendere tutto l’amore). Nell’ultimo atto si compie il destino: Violetta sta morendo, mentre imperversa il carnevale, ritorna la idea della contrapposizione….questo Carnevale che entra dentro la stanza di Lei …così presente ed invadente, così orribilmente presente….come possibilità di vita negata. Alfredo arriva…. vuole anche essere perdonato…vuole restituirle un sogno (Parigi mia cara noi lasceremo ..la vita uniti trascorreremo)…Lei scappa come una bambina, vorrebbe mettersi il vestito ma non ce la fa, le dona invece la immagine di se stessa giovane e gli raccomanda di sposarsi perchè Lei veglierà sul futuro di Lui e sulla moglie. Germont – padre chiede perdono, ma Violetta, quasi felice, cade… si spegne vestita di bianco, nella purezza coerente, sino all’ultimo spasimo, vicino alla fedele serva Annina , ad Alfredo ed al padre non resta che “Oh mio dolor”.

Perchè ho voluto raccontare la vicenda narrativa tratta dal fantastico libretto di Francesco Maria Piave? Perchè al di là delle divisione sceniche, questa opera fa riflettere su un tessuto sociale malato, anche moderno, e sulla visione degli altri introducendo la riflessione sul mondo dell’apparenza, come se Verdi e chi lo segue nella scrittura, abbiano voluto forse entrare nella dimensione dell’etica. Qui l’etica è incarnata da Violetta, colei che al di là delle scelte fatte ha una visione del dono che supera ogni egoismo personale. Sullo sfondo una società distrutta che vive di ipocrisia e nella ipocrisia che non si cura dell’essere umano. Questo mi sembra il grande messaggio sotteso che Verdi denuncia con una musica che è in ogni momento un monito. Un mio amico compositore scomparso mi diceva “Verdi sfugge alle logica delle categorie kantiane ed è un miracolo”. Ora io non so perchè questa rappresentazione messinese non sia piaciuta ai grandi critici. Un plauso va alla stupenda orchestra del teatro Vittorio magicamente diretta da Carlo Palleschi, che ha saputo dare un imprinting di elevazione alla partitura e sicuramente Lui, che ha diretto opere liriche nei più prestigiosi teatri del mondo dall’Arena di Verona al Teatro Bunkakaikan di Tokyo inaugurando diversi Festival operistici, dalla Svizzera a Miami, ha compiuto un miracolo di sintesi musicale seguendo i toni i semitoni e le iperboli. Superba il soprano Elvira Fatykhova nei panni di Violetta Valery, anche lei dal curriculum corposo ed interessante e devo dire che mi è apparso gradevole per la interpretazione il milanese Roberto Iuliano (Alfredo Germont) sia per la chiara dizione sia perchè mi ha trasferito una certa emozione nella sua dolcezza espressiva, meno in linea il baritono Giuseppe Altomare (Gorgio Germont) bravi gli altri ed eccellentissimo il coro F. Cilea diretto da Bruno Tirotta che ben conosciamo, magica la regia di Carlo Antonio De Lucia che ha saputo in una sola immutabile scena creare le dimensioni del fuori – dentro e della fluidità, inserendo le coreografie al posto giusto e dimensionando il palcoscenico in modo razionale, impreziosendolo di costumi cromatici che segnano le variazioni dei tempi e temi dell’opera.

Antoine De Saint -Exupèry scrive: “Nous agissons comme si quelque chose dèpassait en valeur la vie humaine…mais quoi?” (Noi agiamo sempre come se qualche cosa superasse il valore della vita umana…ma cosa?).

Esco: chissà perchè fuori, proprio questa sera, diluvia?

 

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Anna Maria Mazzaglia Miceli

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