FIGLI DI UN DIO MINORE UNA ELABORAZIONE TEATRALE DA LABORATORIO

 

Al Teatro Vittorio Emanuele di Messina arriva l’attesissimo “Figli di un Dio Minore” di Mark Medoff per la regia di Marco Mattolini e con la traduzione di Lorenzo Gioielli, la curiosita’ di tutti è capire come sarebbe stato rappresentato in teatro ciò che avevamo visto in un film indimenticabile con William Hurt che aveva fatto vincere un meritatissimo Oscar alla interprete femminile Marlee Matlin e che aveva puntato il suo effetto emozionante sulla storia d’amore. L’insegnante di logopedia James Leeds e Sara, una giovane donna sordomuta, s’incontrano nello Istituto dove lui cerca di dare la parola ai sordi. Sara, pur bella intelligente e colta, ha accettato di fare i lavori di pulizia nell’Istituto che l’ha accolta, chiudendosi nel proprio isolamento e preferendo non avere rapporti con il mondo esterno. Vani sono i tentativi di Leeds di indurla a parlare ed è invece l’uomo che entra nel suo mondo fatto di “silenzi vibranti e pieni di suoni” per capire il rifiuto ostinato della donna ad aver a che fare con un mondo che Lei stessa non stima. Si penetra così l’antefatto del suo abbandono del mondo esterno attraverso progressive confessioni di lei che arriva ad ammettere che è stata usata sessualmente dagli amici della sorella, finendo col non credere in altro possibile dialogo con tutti gli udenti. Attorno ai protagonisti gravitano delle altre figure di udenti e non udenti che irrompono sulla scena creando differenze e contrapposizioni. Su tutto primeggia l’amore incondizionato di Leeds che finisce per sposare Sara e trasportarla nel mondo di fuori. Tuttavia le differenze permangono ma non sono così profonde da far sì che i due si allontanino anzi è proprio l’uomo che accettando le opinioni della donna finisce con lo strapparle la promessa di non allontanarsi troppo da lui.

Questo teatro voluto fortemente da Mattolini, nasce da un laboratorio che ha mescolato attori non udenti con attori udenti o con udito parzialmente danneggiato per approfondire l’aspetto dei due mondi non sottovalutando la potenzialita’ espressiva del linguaggio dei segni. La esperienza è stata cosi’ intensa da trovare poi anche la produzione – dice il regista – e mettere in scena sicuramente uno spettacolo insolito nel quale si cimenta un attore bravissimo come Giorgio Lupano nei panni di James Leeds e una attrice Rita Mazza (realmente non udente) nei panni di Sarah Norman che si avvale della sua forza di trasmissione anche ironica attraverso i gesti espressivi sostenuti dall’ottimo Lupano. Bella la scena seminuda affidata a pochi praticabili che vengono spostati dagli stessi attori creando ambienti diversi, ideata da Andrea Stanisci.

Purtroppo però, nell’insieme, lo spettacolo non convince, resta un laboratorio in cui la vicenda viene elaborata di corsa seguendo tempi e spazi teatrali che non sono pensati per questo tipo di teatro che, pur con la bravura degli attori non riesce ad emozionare e coinvolgere il pubblico che ha profondamente apprezzato ed applaudito l’ottima recitazione di Giorgio Lupano. Difficolta’ di conoscenza e conoscenze, messaggi di ampia levatura e portata che, abbisognano di un approfondimento per diventare una opera teatrale di senso compiuto. Probabilmente accorgimenti diversi nella messa in scena con la creazione di suggestioni avrebbero reso piu’ intenso il lavoro introspettivo. Insomma non viene fuori la sovrumana saggezza della coscienza umana e neppure il declino delle differenze, ma tutto resta rotto e separato…e non si crea quella intrigante cum-passio che rende una estetica immagine educativa e trans-formativa delle distanze in dimensioni della esistenza.

Anna Maria Mazzaglia

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