DALL’HORROR AL CINEMA FRANCESE CHE PROFUMA DI ROSE

Lo attendevano in molti, il film in concorso A Classic Horror Story di Roberto De Feo e Paolo Strippoli. Il film horror italiano, che Netflix distribuirà in streaming a partire dal 14 luglio, abbastanza inquietante. Tutti… tranne la sottoscritta che non ama il genere che fa impazzire le ragazzine e non ama neppure Netflix (ricordo al Festival di Venezia anni fa fu criticato ampiamente la visione di cinema in televisione e Felice Laudadio si fece promotore di un convegno che se da una parte dichiarava che dovremmo abituarci ai nuovi mezzi tecnici di diffusione del cinema, ascoltava anche chi si opponeva a che il cinema come è nato, possa passare nelle mani di Multinazionali che decidono cosa produrre e cosa non produrre, con evidente danno dei pochi cinema rimasti. Questo sarebbe un omaggio alla tradizione di genere italiana che, partendo da riferimenti classici, arriva a creare qualcosa di completamente nuovo? Certamente abbiamo visto e con piacere “Cruel Peter” dell’ottimo Christian Bisceglia trasmesso da Ray Play ma quello è stato un film occasione per parlare di Messina (dipinta magistralmente) e del suo cimitero monumentale guardando piu’ che alla storia raccontata, al modo del racconto.

A Classic Horror Story, prodotto da Colorado Film è diretto da Roberto De Feo (The Nest) e Paolo Strippoli (Piove), nasce da una sceneggiatura di Lucio Besana, Roberto De Feo, Paolo Strippoli, Milo Tissone, David Bellini.

Girato interamente in Puglia, a Roma ed in Calabria, per 5 settimane di riprese, il film conta su un cast molto interessante: Matilda Lutz, Francesco Russo, Peppino Mazzotta, Yulia Sobol, Will Merrick, Alida Baldari Calabria e Cristina Donadio. Ma la storia… Dio mio! è proprio un genere che mi fa abbassare gli occhi.

Cinque carpooler viaggiano a bordo di un camper per raggiungere una destinazione comune. Cala la notte e per evitare la carcassa di un animale si schiantano contro un albero. Quando riprendono i sensi si ritrovano in mezzo al nulla. La strada che stavano percorrendo è scomparsa; ora c’è solo un bosco fitto e impenetrabile e una casa di legno in mezzo ad una radura. Scopriranno presto che è la dimora di un culto innominabile. Come sono arrivati lì? Cosa è successo veramente dopo l’incidente? Chi sono le creature mascherate raffigurate sui dipinti nella casa? Potranno fidarsi l’uno dell’altro per cercare di uscire dall’incubo in cui sono rimasti intrappolati? E’ una prima mondiale, benissimo, ma cosa c’entrava il folklore e la ndrangheta con la leggenda di Osso Mastrosso e Carcagnosso che sarebbero stati cavalieri spagnoli che dopo aver eseguito una uccisione avrebbero creato la origine di tutti i sistemi mafiosi? Mentre non sono in accordo con il dichiarare che il folklore ha una origine dal basso a meno che non vogliamo risalire al Medioevo. Il film vorrebbe ironizzare su tutto, nella intenzione degli autori, anche sulla spettacolarizzazione della morte e sul fatto che viviamo in una società che col cellulare riprende tutto, cosi’ che nessuno si preoccupa di cio’ che succede e di come succede. Mentre la Final queen essenzialmente femminista sarebbe la protagonista. Tutti dicono che il film è fatto bene ma sicuramente con i soldi di Netflix il film si è fatto e sarà visto in 180 paesi con quale risultato non si sa, se molti critici in sala hanno provato una sensazione di disgusto verso la visione. Cinque sceneggiatori poi sicuramente mettono dentro tutto e di piu’ ma in accordo tra loro, tanto la impressione che danno alla conferenza stampa è che comunque il film esiste, mentre altrimenti “non avremmo avuto la possibilità di realizzarlo”. Insomma l’Italia mostrerà il peggio degli italiani anche con l’horror, chi vorra’ venire in Calabria? Paese spettacolare e perché se pur incidentalmente si parla di mafia perché non parlare di una mafia che è nella politica mondiale?


Il 67mo Taormina Film Fest, diretto da Francesco Alò, Alessandra De Luca e Federico Pontiggia, non poteva esimersi dal proporlo, al di là del mio personale pensiero sul cinema, A Classic Horror Story, diretto da Roberto De Feo (già nominato ai Nastri d’Argento per il suo primo lungometraggio The Nest) e Paolo Strippoli, esordiente ed autore di cortometraggi, mentre la protagonista è Matilda Lutz nel ruolo della timida e fragile Elisa, che non ama l’orrore, diventa esempio del girl power cinematografico italiano.

Matilda ricorda che «Roberto curava di più la parte tecnica, mentre Paolo si dedicava di più agli attori» ed il set cosi’ ha funzionato perfettamente. «Ci siamo formati con l’horror classico italiano e americano degli Anni ’70, ’80 e ’90–interviene Strippoli –da La Casa di Sam Raimi a Non aprite quella porta di Tobe Hooper,
fino al meta-cinema degli Anni ’90: Scream di Wes Craven è in assoluto il film che ci ha più ispirato, ma anche So cosa hai fatto di Jim Gillespie».

Matilda Lutz, che aveva ipnotizzato Cannes per la sua interpretazione assoluta in Revenge, ha le idee chiarissime sul genere: «Se penso all’horror mi vengono in mente Isabelle Adjani in Possession e Naomi Watts in The Ring, poi naturalmente c’è Anya Taylor- Joy, che è sempre bravissima».

A Classic Horror Story è in competizione per il concorso internazionale di Taormina 67.

Al teatro antico si entra nel mondo del cinema che profuma di rose. La commedia è un vero gioiello del cinema francese degli ultimi anni. Di quei film internazionali destinati ad aver successo. Troviamo qui la tradizione francese del garbo. Lo sappiamo in fondo che La Comédie-Française, ha formato generazioni di talenti anche nel teatro ed anche Catherine Frot, la protagonista de La signora delle rose, nasce in fondo, a teatro, nella Compagnie du Chapeau Rouge di cui fu tra le fondatrici alla fine degli anni Settanta. Al cinema esordì giovanissima, appena ventiquattrenne, in “Mon Oncle d’Amerique” di Alain Resnais.

Al Teatro Greco, nella quinta serata della 67ma edizione del Taormina Film Festival, diventa Madame Eve Vernet, la migliore produttrice di rose di tutta la Francia, la protagonista dell’amabile film La signora delle rose.

Purtroppo la sua azienda è sull’orlo della bancarotta e, a meno di un miracolo, l’unica soluzione sarebbe venderla alla concorrenza. Ma la soluzione arriva dalla sua assistente che trova tre persone, improvvisate ma che come i fiori hanno bisogno di sbocciare nuovamente. La signora delle rose è diretto da Pierre Pinaud, al suo secondo lungometraggio, e arriverà nelle sale italiane in autunno distribuito da I Wonder Pictures. Ma le rose sono la metafora di un mondo che è antico e nuovo? Ove i ricordi si mescolano con la vita vera e viva? Direi di sì se mi debbo basare sulla mia esperienza diretta.

La signora delle roseè il primo film che ha al suo centro la coltivazione delle rose – dice il regista Pineaud – Insomma Lui, come me, ama i fiori sin da bambino, poiché anche io avevo un nonno ed una zia che furono subito entusiasti di assegnare un piccolo giardino per imparare il profumo della natura e delle piante ed avere un pezzetto di buona terra tutto per te da bambina è un sogno . Era un modo di creare il virtuoso come poi avverrà col cinema e questa fu anche la mia prima esperienza di scrittura scenografia e messa in scena che affrontai, come il regista. E’ vero fiori e cinema sono le due parti del mondo che ho sognato. La cosa mi ha intrigava era l’innesto e creare il colore nuovo e tutto è stato frutto di un duro lavoro. Dalla somiglianza tra rose e vita, Pinaud scrive la sceneggiatura perché le sue storie nascono dalla osservazione della realtà e così Lui immagina una disegnatrice di rose sull’orlo del fallimento che, non in grado di pagare veri professionisti che possano aiutarla, accetta l’aiuto di tre dipendenti sfortunati perché nati in una società non evoluta. In fondo, La signora delle rose è come la storia di una donna che da sola combatte contro l’industrializzazione del suo settore e le leggi del mercato. Ancorata ai suoi metodi tradizionali, resiste alle moderne tecnologie perché secondo lei abbassano gli standard di qualità. Accetta i nuovi arrivati permettendo la loro integrazione ed offrendo la via della salvezza e del sorriso. E’ un film delicato e profumato come i suoi protagonisti e Pierre Pinaud, nato nel 1969, e laureato in Lettere moderne né fa un film letterario e magico.

Anna Maria Mazzaglia Miceli

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