CIO’ CHE HO AMATO DEL TAOFILMFEST 2022: DA BATTIATO AD ENNIO IMMERSIONE TOTALE

La musica e l’immagine e tutto si trasforma nel volo delle farfalle

La voce del padrone”, ispirato al titolo dell’album rivoluzionario del 1982, fu il primo LP a vendere oltre un milione di copie in Italia. Al teatro Greco di Taormina arriva Marco Spagnoli, che conobbi tanti anni fa, come vicedirettore del Festival bellissimo di Laudadio e che sapevo fosse un ottimo documentarista. Lui mi ha regalato una lunga notte piena di magia, suoni, musica, parole e mistica per ricordare un grande della mia terra e farmi ricordare quei bei momenti vissuti, sentendo il disco, quando ancora eravamo altri nel corpo e nell’anima. E così rivedo il Battiato che ascoltava interessato Sandro Anastasi, tutto intero, perché all’epoca reputavo Battiato un cantante volutamente intellettuale finendo per scoprire che ero io troppo immatura. Oggi il documentario mi restituisce uno di quegli artisti completi che non muiono mai perché sono entrati consapevolmente in una altra dimensione dello spirito, in una religiosità che non è religione. Uno che ha scritto la più bella canzone d’amore “LA CURA” che ha dedicato a se stesso prima che agli altri. Perciò questa docu-fiction “FRANCO BATTIATO – LAVOCE DEL PADRONE di Marco Spagnoli è un lungo viaggio, per me, alla scoperta di un album chiave del cantautore siciliano morto il 18 maggio 2021 nel ritiro di Milo alle falde dell’Etna. Un album uscito nell’autunno del 1981 che è stato il primo LP italiano a superare un milione di copie vendute.

Presentato a Taormina, in anteprima, è un originale ologramma in cui si incide dal genio alla purezza alle intuizioni oltre che al misticismo di Battiato e dunque attraverso questa rivisitazione si comprende che Lui non era un cantante né un uomo semplice ma tridimensionale, quatridimensionale, un moltiplicatore di consapevolezze ed arti e dunque, sicuramente un vate, gentile a volte criptico volutamente (frutto delle sue ripetute e plurime visioni che incollava in una partitura trinandole ad un centro). Artista, sciamano, filosofo.

Detentore di una cultura eterogenea e vastissima, ellenistica Franco, era un uomo che ha impostato tutta la sua vita ai ritmi di una circolarità olistica che lo portava a superare i limiti precedenti.

Quell’anno, l’82, rivive le notti del Mundial di Spagna, anche l’inizio degli anni Ottanta, la fine degli anni di Piombo, la morte del Generale Dalla Chiesa e del Pentapartito.

Lui intuisce che il vecchio mondo è finito e si fa interprete della nuova emergente cultura: la sua. Seppe trasportare nella leggerezza delle canzoni il cantico delle creature e il MANTRA di Cuccuruccù Paloma, divenne anche un ritornello propiziatorio.

Nel film vi sono miliardi di immagini di repertorio di un giovane Battiato alle prese con la sua amata musica sperimentale che si susseguono e poi, quasi da un momento all’altro, Lui che decide cosa è il successo e dunque di preparare un album commerciale, un album popolare che tutti avrebbero comprato senza rinunciare alla sua natura. Una cosa che evidentemente sorprese i discografici di allora.

Ora che LA VOCE DEL PADRONE abbia queste caratteristiche non è facile da dimostrare, ma di fatto questo undicesimo album del cantautore pubblicato dall’etichetta EMI Italiana con canzoni come BANDIERA BIANCA e CENTRO DI GRAVITÀ PERMANENTE univa semplicità e complicazione, ordine e trasgressione. È il caso proprio di CENTRO DI GRAVITÀ PERMANENTE dove chi è posseduto da immagini e pensieri in libertà, come «Una vecchia bretone/Con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù/Capitani coraggiosi/Furbi contrabbandieri macedoni/Gesuiti euclidei/Vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori/ Della dinastia dei Ming» , fa appello ovviamente un centro salvifico qualsiasi? No ma a quel centro di gravità permanente che lega l’intera umanità visionaria. Qui come per incanto Battiato centra e trova il suo centro di gravità permanente.

A ricordarlo tanti volti e tante voci: da Nanni Moretti ad Alice a Carmen Consoli a William Dafoe con la stessa Caterina Caselli, Morgan che lo descrive come un Dio Mistico che la musica attrae insieme a Stefano Senardi, grande amico del maestro siciliano.

In tutte queste testimonianze, quasi sempre, l’impossibilità di racchiudere solo in qualche parola la complessità di un personaggio che si muoveva in tanti ambiti, musica, pittura, mistica, studio delle religioni ed editoria (aveva fondato nel 1985 L’ottava), ma che soprattutto, da buon monaco laico, lavorava su se stesso. Dice Spqagnoli che Franco Battiato è e rimarrà un artista unico ed inimitabile umano, amicale, intimo.

Il film compie il miracolo del viaggio non solo da Nord a Sud dell’Italia per raccontare la sua influenza sulla cultura del nostro paese ma anche mistico, estetico. Il documentario celebra l’eredità di un menestrello dello spazio e del tempo che ci indica che la morte non esiste. Qui si dipana un percorso tra arte e memoria, omaggio non solo alla storia del musicista, ma anche del suo storico album di cui ricorrono i quarant’anni. Protagonista di libri, trasmissioni televisive, autore di film, Battiato ha qualcosa di inafferrabile e impalpabile. Solo chi lo ha conosciuto nel profondo puo’ coglierne il respiro. Chi, come il maestro, che crede che egli sia ancora qui Stefano Senardi, intraprende questo percorso alla scoperta del suo amico Battiato da Milano a Milo, prendendo per mano lo spettatore e trova il senso ultimo del suo percorso alla riscoperta dell’amico di sempre che sembra sorridergli con la sua saggezza, attraverso le sue cose e le sue emozioni in musica. Vincenzo Mollica, giornalista e grande amico di Battiato, introduce il viaggio finale in Sicilia dopo le tappe di Milano e Roma nella casa di Milo, alle pendici dell’Etna,

Mi era stato chiesto di pensare a un progetto dove coinvolgere Battiato ancora molti anni fa in cui era distante l’idea della sua mancanza. L’ispirazione è stata l’estate dell’82, in cui c’è un legame importante tra La voce del padrone e i mondiali. Sono un pò come il regista di zona. Curo progetti rionali” – dice Spagnoli -come tutti i progetti trovano accantonamenti e riemergono magari dopo anni si è presentato il momento giusto. Devo dire che la storia era già così, senza drammi e quando Franco è mancato non è stato rimaneggiato.

Fin dall’inizio voleva solo essere un viaggio da Milano a Milo, condotti attraverso le amicizie, gli affetti del maestro. Tra di loro Filippo Destrieri compositore, musicista e amico di Battiato e Stefano Senardi, produttore discografico che è qui anche lui.

Battiato, amante dei viaggi è quindi visto nell’intimo attraverso un viaggio fisico e spirituale al tempo stesso. Sia a casa di una sua musa, la cantante, Alice. O da Francesco Messina, art director dei suoi album. O con l’attore Willem Dafoe e la regista Giada Colagrande.

Prodotto da RS Productions con It’s art, il netflix della cultura, uscirà in sala tra settembre e ottobre 2022. La RS Productions, fondata a Milano nel 2019 da un gruppo imprenditoriale di lunga esperienza nei settori media ed editoria, è una casa di produzione e distribuzione di contenuti audiovisivi e cinematografici. La Società è proprietaria, insieme a PortobelloSpA, di Web Magazine Makers, casa editrice che ha in licenza per
l’Italia la storica testata “Rolling Stone”.

Ma chi è Marco Spagnoli che disegna il profilo di questo grande magistralmente?Giornalista, critico, regista e sceneggiatore Head of Unscripted and Animation Activities del Mia Market di Roma, ha realizzato il primo podcast dedicato al cinema per Audible – Amazon, intitolato Interno Giorno. Candidato tre volte al David di Donatello, ha vinto un Nastro d’Argento speciale. Consulente di Festival ed eventi internazionali, Spagnoli ha realizzato le docufiction per Raiuno “Figli del Destino” e “Questo è un uomo”: la prima incentrata sulle leggi razziali con protagonista – tra gli altri – la Senatrice Liliana Segre come autore e co-regista, la seconda dedicata a Primo Levi come collaboratore alla sceneggiatura, autore delle interviste e della ricerca dei materiali. Ha firmato tre puntate della serie Illuminate per Raitre dedicata a Oriana Fallaci, Alda Merini e Mariangela Melato: e sei puntate per Rai storia della serie Il Segno delle donne dedicate rispettivamente a Alida Valli, alle Sorelle Giussani, ad Adele Faccio, a Vera Vergani, a Carina Massone e ad Ondina Valla. Ha scritto e diretto diversi documentari distribuiti da Major americane con NBCUniversal, The Walt Disney Company, Viacom – Paramount e A&E Networks.
Insegna Documentario presso il Master di Writing della Luiss Business School e tiene un corso di Giornalismo Cinematografico presso la Rome Film Academy. Il suo corso sulla preparazione di Pitch per documentari è disponibile worldwide sulla piattaforma globale di e-learning Domestika.
Insomma un grande conoscitore di anime che solo poteva portare avanti la descrizione di un volto musicale che per noi siciliani rimane affascinante sempre ma che puo’ insegnare a tanti giovani che miti si nasce e non…si diventa.

Un altro film che mi ha inchiodato alla sedia al Teatro Antico di Taormina è sicuramente ENNIO di Giuseppe Tornatore che definì Morricone una atleta della mente che con la melodia raccontava una storia. Scomparso due anni fa il documentario è un omaggio al Maestro tra i più attesi ed emozionanti dell’anno:
E’ un ritratto a tutto tondo di uno dei compositori più popolari, importanti e prolifici della storia del cinema, oltre che uno dei più amati a livello internazionale, vincitore di un Oscar onorario nel 2007 e di un altro per la miglior colonna sonora nel 2016, grazie alla partitura per «The Hateful Eight» di Quentin Tarantino.

Scomparso il 6 luglio del 2020, all’età di 91 anni, Morricone viene raccontato attraverso una lunga intervista fatta dallo stesso Tornatore, unita alle testimonianze di tanti registi italiani (da Bertolucci a Bellocchio, da Montaldo ad Argento, passando per i fratelli Taviani e Carlo Verdone) e stranieri, artisti vari e altri suoi celebri colleghi come Nicola Piovani e Hans Zimmer. «Ennio» è un viaggio intimo nell’arte di Morricone e nelle sue passioni, tra cui quella per gli scacchi, che si uniscono coerentemente con le sue grandi intuizioni artistiche, di cui si racconta l’origine: ne sono degli esempi l’urlo del coyote che gli suggerisce il tema de «Il buono il brutto, il cattivo» o il battere ritmato delle mani su alcuni bidoni di latta da parte degli scioperanti in testa a un corteo di protesta per le vie di Roma che lo ispira per il tema di «Sostiene Pereira». L’arte di Morricone era perennemente alla ricerca della sperimentazione, povero figlio di un trombettista gli fu imposto dal Padre di studiare la tromba e lo fece controvoglia. Lui però voleva studiare composizione ma erano scuole per l’elitè e non fu mai visto di buon occhio per molto tempo. Amava il contrappunto e ne studio’ tutte le dinamiche sino ad arrivare a scoprire la musica dodecafonica di cui scrisse molte composizioni ed era attento ai rumori perché per Lui ogni forma di suono poteva essere un suono musicale ed attingeva alla natura attento a tutto. Racconta che aveva escluso le trombe dalla orchestra ma che quando il padre mori’ le riammise (si commuove nel raccontare) questo documentario punta su una struttura tradizionale, riuscendo a cogliere a pieno la profondità dell’anima e della musica dell’artista. Tornatore, che aveva già lavorato con il linguaggio del documentario in passato, è tornato dietro la macchina da presa cinque anni dopo «La corrispondenza» e non ci poteva essere un ritorno più emozionante, sicuramente tanto per lui quanto per gli spettatori.

Ennio Morricone resta onnipresente nel paesaggio musicale. È il solo compositore identificato con il cinema i cui temi, evidenti fin dal primo ascolto, possono essere fischiettati, cantati, suonati, arrangiati da chiunque, non soltanto dai cinefili. E lui stesso li canta prima di comporli. Dal grido selvaggio di” Il buono, Il brutto, Il cattivo all’armonica di “ C’era una volta il West”, tutti conoscono i suoi ‘brani’ senza aver visto necessariamente i film che li illustrano.

Perché questo musicista straordinario ha fatto più di chiunque altro per la popolarità della musica da film e per la sua diffusione fuori dal suo ambito. Ha prodotto un’opera colossale che sposava la sua prodigiosa cultura classica con un incredibile istinto pop.

Questa doppia polarità, che conserverà fino alla fine, definisce perfettamente lo stile del compositore e lascia un’impronta sul cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta. Quella impronta guida il documentario di Giuseppe Tornatore restituendoci in un’intervista fiume la sua astrazione intellettuale, qualche volta impenetrabile, e la sua meticolosità perfettamente concreta quando si trattava di comporre, di offrire un sottotesto pulsante a una sceneggiatura. Non vi era regista che non lo chiamasse e volesse accanto perché Lui tesseva la trama stessa del film attraverso il suono.

Ascoltare L’autore che descrive è già ascoltare la sua musica. Ha un’elocuzione precisa, un ritmo e una cadenza tutta sua. Canta per onde ascendenti e discendenti con un accenno di dolenza che non intralcia mai la chiarezza del suo discorso mentre osa combinazioni inedite, gonfiando il fragore di percussioni barbariche, imitando i versi degli animali, combinando pianoforte, mandolini, clavicembali, chitarre elettriche, ottoni, carillon, campane, fruste e strani effetti. La musica e Lui che si rotola per l’ora di ginnastica praticata tutti i giorni con accanto Maria la donna -moglie che veglierà sulla sua creatività per tutta la vita.
Questo Grande portava il corpo nella musica, a volte grottescamente carnale (i rumori prodotti dallo stomaco vuoto di un bandito) a volte celestiali (la voce sublime di Edda dell’Orso). Più di tutto fuggiva la tradizione illustrativa e il regista accompagna quella fuga, una cavalcata artistica e umana. Perché il regista siciliano ha questo senso, l’emozione immediata di una fotografia o di una nota. Era già tutto in “Nuovo Cinema Paradiso”, quella vocazione a strappare momenti di vita alla morte.

Non capita tutti i giorni che un continente scompaia ma di quella vastità, Tornatore restituisce un bagliore che vorremmo non finisse mai. In quel lampo Ennio qui si racconta intimamente e musicalmente davanti ai nostri occhi che guardano l’uomo che ha forzato tutte le serrature con la punta della sua bacchetta.
Osservare Ennio Morricone mentre lavorava era come osservare un atleta..”, lo dice Roland Joffé nel suo film. La metafora dell’atleta è singolare ma appropriata, suppongo che ‘fare esercizio’ aiuti a mantenere una qualità del suono e dell’esecuzione, ad ‘accordare’ il corpo costretto dallo strumento a una postura scorretta, ad allenare lo spirito. Come gli atleti bisogna riscaldarsi prima della gara o di una performance. È per questo che al debutto del film vediamo Ennio Morricone fare ginnastica?
Tutti quelli che
lo conoscevano erano al corrente di questa storica abitudine. Tutte le mattine, all’alba, talvolta anche prima dell’alba, faceva un’ora di sport. Lo ha fatto tutta la vita. Per certi versi,è stato un atleta, ha mantenuto la sua fisicità sempre elastica, sempre viva, sempre giovane, sulla base di un rigore davvero unico. Ma la relazione tra la bella definizione di Roland Joffèe la sequenza di Morricone che fa gli esercizi ginnici a casa sua ha un secondo grado, sotto la superficie, sotto questa routine c’è una ragione più profonda.
Il Maestro era atleta nella testa, era un atleta della mente. Tutti quelli che hanno lavorato con lui, registi, fonici, montatori, non facevano che ripetere quanto fosse sorprendente la sua dinamicità mentale. Una dinamicità che si sposava col suo leggendario rigore. Con elasticità mentale intendo la capacità di stare all’erta, di essere pronto a risolvere problemi in qualsiasi momento, di rispondere in tempi rapidi alle questioni tecniche che il fare cinema comporta. Quella sua facilità ci lasciava sempre a bocca aperta.
Abbiamo collaborato insieme per più di trent’anni e parecchie volte mi è capitato di fargli richieste davanti alle quali sarebbe stato perfettamente naturale mandarmi a quel paese, dirmi no, mi spiace, non si può fare e invece non smetteva di stupirmi. Elastico, duttile, creativo, trovava sempre la soluzione. Così quando
Roland ha pronunciato quella battuta ho trovato nella sua replica una valenza allegorica.

Certo Lui era agile fisicamente ma io pensavo più all’agilità del suo pensiero, della sua maniera di rapportarsi alla sua arte. Riusciva ad adattarsi a ogni autore, a ogni carattere senza tradire mai se stesso. Potevi chiedergli anche una cosa stupida o una cosa che lo sembrasse all’apparenza, capita talvolta di aver bisogno di cose più semplici, e lui riusciva a farla sembrare migliore, a trovare quella ragione in più, perché la sua creatività non ne uscisse umiliata. E anche questo lo ha fatto per tutta la vita. L’esempio più clamoroso è la sua stagione di arrangiatore di canzoni. Non ha mai esercitato quel ruolo in maniera passiva. Prima di lui i compositori ricevevano la melodia di una canzone e si limitavano a strumentarla. Con Ennio le cose cambiarono per sempre, trovava per i suoi arrangiamenti delle ragioni musicali che spesso sfuggivano all’autore, al cantante stesso o agli ascoltatori.
Ma spesso quella ragione gli dava la possibilità di portare avanti la sua sperimentazione musicale. Così arrangiava una canzone di
Gianni Morandi introducendo una traccia di derivazione wagneriana o applicando addirittura i principi della musica dodecafonica o della musica tonale. La gente forse non lo capiva, però ascoltando quella canzone ci trovava qualcosa di completamente diverso, qualcosa che la attirava, la incuriosiva. Questo era il suo grande talento, questa la sua poetica questa la vita da semplice che pero’ nella intervista svolta sul viso di Ennio si tramuta in espressione spesso composta e misteriosa ed altre volte sembra un bambino sorpreso e felice di raccontare come trasformava i film semplicemente incantando.

Anna Maria Mazzaglia Miceli

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