UN FESTIVAL DI ANIMA E COMPETENZA

IL Messina Film Festival “Cinema&Opera si conferma come unico Festival al mondo che scopre la pluriarte

 

A dicembre è tornata alla Sala Laudamo la bellissima seconda edizione del Messina Film festival Cinema&Opera, un festival unico al mondo, ideato dal suo straordinario direttore artistico Ninni Panzera. Voglio tacere del Messina Film Festival che nel 95 aveva portato molti di noi alla Saletta Milani con le sue proposte uniche  che mi hanno formata come spettatrice e giornalista ed anche perché ho seguito sempre il grande esempio del mio Maestro di anima e sogni, Ninni Panzera, un uomo che di cinema sa tantissimo e che, per anni, è stato il Segretario Generale di Taormina Arte stringendo rapporti direi quasi mistici con i migliori direttori artistici che si sono susseguiti negli anni al Festival di Taormina e se la ricorrenza dei settanta anni di Taoarte al Teatro Vittorio Emanuele di Messina non gli ha tributato l’onore che meritava, voglio farlo io, sebbene in ritardo, con la mia influenza lunga parecchi giorni. Ninni è la cultura  senza fine dello schermo e per lo schermo di autore, che ha portato avanti alla mai dimenticata Saletta Milani in una Messina incantata degli anni novanta formando schiere di potenziali cineasti attenti con al fianco la collaboratrice silenziosa Emy Mammoliti, altro esempio di dedizione infinita al cinema ed alle sue ragioni misteriose ed affascinanti. Qui ho conosciuto Massimo Coglitore e l’indimenticato Gianfranco Serraino che mostravano le loro caratteristiche geniali ed appassionate nei corti a tema ed anche Nicola Calì, beati infiniti momenti in cui si strinsero rapporti come patti per la vita, la vita bella che volevamo per una Messina che poteva rinascere…Ninni, imperterrito, ci riprova con una proposta nuova ed impegnativa per i film rari, le proposte nuove i corti e per le anteprime italiane con i registi in sala. Ma sebbene questo non sia un Festival per tutti, la sala è gremita ed i giorni che passano dimostrano che ancora una volta, non solo vince la sua scommessa, ma secondo me crea un format che potrebbe essere ovunque e del quale prevedo un futuro radioso. Nei prossimi anni tutti i paesi al mondo vorranno essere presenti al festival di Messina ed il Festival sarà una luce che innalzerà Messina al di sopra della sua aria annoiata ed intollerante di sempre, perché il Festival è così geniale che potrebbe svolgersi ovunque. Ma la misteriosa scia trasversale che attraversa il cinema fa si che questo Festival sia proprio nella città senza città…nell’universo del terremoto e rinascita nel suo occulto destino che si affaccia su uno stretto magico ad immagine di un sogno dilatato nella musica ed immerso nella cultura come se  la cultura sommersa designasse il suo erede proprio qui…e qui esprimesse una continuazione di vita e vite.

Trovo stupendo l’omaggio a Franco Zeffirelli. Un documentario  di Anselma dell’Olio del 2022 “Franco Zeffirelli, conformista ribelle” rende omaggio al regista mostrando l’anima dello stesso strappando quei veli che nascondevano il suo lato interiore L’opera presentata alla 79 edizione della Mostra del Cinema di Venezia mostra come Franco Zeffirelli detestasse i tiepidi, che per me sono anche i mediocri; Lui non sopportava le vie di mezzo ed i compromessi né nella vita privata né sui palcoscenici e soprattutto gli amici comodi e scontati poiché fu sempre viscerale nelle scelte. E Lui stesso fu sempre pronto allo scontro con tutti quelli che non fossero puri. Passa innanzi agli occhi una vita: dalla tribolata infanzia nell’amatissima Firenze alla corte del grande Luchino Visconti, di cui fu scenografo e assistente alla regia. La sua fama di esteta non si è spenta con la morte ma si ravviva qui al Festival ricorrendo il centenario della nascita. “Zeffirelli” – ha spiegato  Anselma Dell’Olio all’AG -I, “ha scontato in patria l’estrema politicizzazione dell’Italia, per cui nel mondo dello spettacolo e della cultura risultava inammissibile non essere un uomo di sinistra, Visconti Lo avrebbe voluto come suo scenografo per sempre e quando la fama di Franco superò la sua non lo sopportò. Fu una gelosia che dal piano professionale debordò in quello personale: non tollerava che chi lavorava per lui lo facesse anche per Zeffirelli o persino che lo frequentasse”.  L’antipatia di Visconti per Lui fu la sua fortuna, poiché si promise e permise spazi artistici stranieri. Zeffirelli fu osannato a Londra dal Covent Garden all’Old Vic ed incantò gli americani conquistando letteralmente Maria Callas, Conformista nello scegliere una politica di destra, Zeffirelli fu sempre ribelle. cattolico e omosessuale, senatore di Forza Italia, si interessò alla ricerca spirituale che divenne missione e dopo un incidente d’auto per cui fece un voto artistico e religioso a san Francesco frequentò il veggente torinese Gustavo Rol (su cui la Dell’Olio sta conducendo ricerche e che sarà protagonista pare, di un suo prossimo lavoro). “Il profilo umano di Zeffirelli si presentava, all’esterno, come quello di una persona molto positiva. Tutti ne ricordano la generosità: ospitò vecchie attrici in difficoltà e provvide a pagare per chi aveva problemi di cure o di sfratto. Guadagnò moltissimo, spese di più e tuttavia pensava di non fare abbastanza per gli altri” ha sottolineato Dell’Olio. “Eppure serbò sempre sotto traccia la sua interiorità, per un pudore maturato nelle esperienze amare di un’infanzia da figlio illegittimo che non poteva essere riconosciuto nella Firenze piccola di un secolo fa, dove questa estrosità si scontava. Alla parte nascosta di Zeffirelli è dedicata l’ultima mezz’ora del film. Per scoprire l’uomo che si nascondeva dietro la socialità sontuosa di casa sua, dove alle feste potevi incontrare Liza Minnelli e l’imbianchino che gli aveva pitturato le persiane”.  Mi incanta certo Zeffirelli perché amo il suo cinema e l’intera sua vita.

Ho rivisto con impegno “La Traviata” del 1983 con Teresa Stratas e Placido Domingo e mi sono concentrata molto sulla messa in scena che inizia a casa di una Violetta moribonda che si aggira come un fantasma per casa dove arriva un giovane ragazzo incaricato di portar via gli oggetti della donna. Il ragazzo è come se fosse incantato da questa presenza femminile nel sontuoso della casa. La vede in un quadro e ne rimane estasiato. Il giovane è forse Zeffirelli ragazzo che resta attratto dalla bellezza estatica della donna di cui condivide la passione nel percorso filmico? Il giovane abbandona gli oggetti e sembra sparire nel nulla. Ma su questo sguardo si apre l’opera filmica che mostra Violetta ricordare…. Si tratta di uno stupendo flashback per il quale si è introdotti in una festa dove la donna conosce per la prima volta Alfredo. Si è immessi nella scena di colpo e si diventa  invisibile come la presenza-assenza  di Violetta e lo sguardo del regista in un alternarsi di vita parigina e casa di campagna, con molte scene in esterno, sul fiume, a cavallo dando spazialità all’opera. In campagna arriva però il severo genitore di Alfredo, Giorgio Germont, che l’accusa duramente di voler spogliare Alfredo delle sue ricchezze. Violetta allora gli mostra i documenti che provano la vendita di ogni suo avere per mantenere Alfredo presso di lei: il vecchio signore capisce ma chiede un sacrificio a Violetta per salvare il futuro dei suoi due figli. Germont spiega che ha anche una figlia e che Alfredo, se non torna subito a casa, rischia di mettere in pericolo il matrimonio della sorella. Stremata, Violetta accetta di lasciare Alfredo. Violetta torna poi a Parigi a casa di una amica ed incontra Alfredo che la offende davanti a tutti, convinto che Lei sia l’amante di un barone. A Parigi Violetta rientra a Carnevale terribilmente malata e mentre riceve Alfredo e Giorgio Germont si compie il suo destino di morte.. E’ stupendo il modo in cui Zeffirelli descrive l’agonia della donna che vorrebbe ancora vivere attaccandosi ad ogni speranza. La seguiremo nella sua stanza da letto tenuta in vita dall’amore e grande nella morte. Alla fine del film torna il ragazzo per riprendere gli oggetti ma è solo una visione di Zeffirelli che getta un ultimo sguardo alla casa non più sontuosa. Il film ha ricevuto una nomination all’Oscar come migliore scenografia e migliori costumi ed infatti colpisce la sontuosità della scenografia di Zeffirelli che colloca l’esperienza di una morte annunciata nel lusso indifferente degli oggetti e del mondo.

Ne “Il giovane Toscanini” del 1988 con Thomas Howell ed Elisabeth Taylor Zeffirelli esprime la sua anima ribelle ancora. Il film narra del piccolo Arturo Toscanini cui capita di ascoltare a otto anni col padre, alla Scala, la cantante Nadina Bulicioff, in una superba interpretazione dell’Aida. A diciotto anni Toscanini conosce già a memoria le partiture dei più grandi maestri. Rossi, un impresario teatrale di provincia, propone a Toscanini di recarsi con la sua compagnia a Rio de Janeiro, per una rappresentazione, appunto, dell’Aida. A Rio Toscanini incontra Margherita, una giovane aristocratica lombarda, che presta soccorso ai poveri e tra  i due nasce un idillio e proprio a Rio Toscanini incontra Nadina Bulicioff, che, abbandonata la musica, è diventata la favorita dell’imperatore Pedro II, Toscanini vorrebbe che Lei tornasse al bel canto e si iniziano ad esercitare. Progressivamente cresce la sua storia d’amore con Margherita, le sue prove di orchestra con un direttore incompetente, ed il suo avvicinarsi alla povera gente condannando lo schiavismo e, a mano a mano, Lui riesce a trasmettere questi sentimenti democratici anche alla Bulicioff. Poichè la sera della prima rappresentazione dell’Aida il direttore d’orchestra viene rifiutato dal pubblico per suggerimento della Bulicioff, si cerca Arturo Toscanini, l’unico ritenuto in grado di sostituirlo. La serata è un trionfo, anche la Bulicioff, fino allora schiavista, lo costringe a interrompere la rappresentazione per dichiarare di essere favorevole alla libertà per gli schiavi.  Zeffirelli ha seguito molto da vicino le indicazioni della sceneggiatura: accettando di fare un film sul sentimentalismo dilatato. Ne esce fuori un film para hollywood con il gusto per le grandi scenografie anche di impianto operistico.  Ma nonostante la presenza della Taylor con Thomas Howell, il film non decolla ed a Venezia   non piace, forse proprio per l’impianto da romanzetto rosa. Ma Zeffirelli ama il melodramma ed il romanzo d’appendice. Tuttavia è una chicca che poteva essere perduta per sempre e Ninni Panzera col suo garbo e gusto per il cinema ritrovato lo propone a noi spettatori che non lo conoscevamo.

Ma Zeffirelli è anche “Cavalleria rusticana” un film del 1982 con Placido Domingo, Elena Obrazcova e Renato Bruson. Questo è un film che invece conosco bene perché girato interamente a Vizzini e conosco parecchie delle comparse reclutate per il film che trovo stupefacente al di là del fascino per la opera lirica in sé. Sono stata ovviamente presa dalla messinscena che riserva una attenzione ai particolari della nostra isola, alla vigilia di Pasqua.

Credo che proprio nella messa in scena delle opere liriche  anche dell’Otello  del 1986 e di Pagliacci del 2023 si capisca come Zeffirelli sia sempre profondamente viscontiano, popolare, con l’occhio costantemente rivolto alla pura arte della scultura che lo aveva folgorato negli anni della fanciullezza e certo poi fu profondamente narciso come può esserlo chi è consapevole di essere uno scenografo sontuoso e parecchio barocco anche se amava la pittura del seicento. Questo suo gusto per tutte le forme rappresentative soprattutto chiassose anche nella mestizia lo rese noto, molto piu’ che in Italia, negli States che hanno sempre amato le forme di cinema esposto e patinato e per questo veniva considerato come un anti – Pasolini. Il rendere omaggio a Zeffirelli mi porta a comprendere tanti piu’ lati di questo autore che scelse i contrapposti ruoli nella vita per essere un autentico rivoluzionario aristocratico, sì perché essere ribelle non vuol dire abdicare alla propria formazione ed alle proprie origini.

E poi cosa fa Panzera? Si pone e ci pone una domanda: E se fosse vero rivedere un sequel di Cavalleria Rusticana Dodici Anni dopo? Risponde a questa domanda il film di Valerio Groppa del 2023, in anteprima al Festival di Messina, tratto dal dramma scritto negli anni venti dall’attore catanese Giovanni Grasso, che viene letto dal compositore livornese  Mario Menicagli che se ne innamora.

Da qui l’idea di dare un seguito alla Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e come tale è presente in esso la volontà di omaggio al celebre  compositore livornese.

La situazione ambientale è la stessa di Cavalleria rusticana. Sono passati dodici anni ed è nuovamente Pasqua. Santuzza è chiusa nel suo mai sopito dolore, è ancora bella, desiderabile, ma rifiuta il contatto con altri uomini. Mamma Lucia è uscita di senno. Dall’unione di Santuzza con Turiddu è nato un bambino che si chiama come il padre e che i coetanei escludono dai giochi poiché bastardo. Sicuramente il film offre riflessioni nuove ed è girato molto bene e facilmente seguibile anche nella versione cantata. Lola è sempre la stessa, Alfio, appena uscito dal carcere dopo aver scontato con dodici anni di reclusione l’uccisione di Turiddu, esprime la sua amarezza, il suo pentimento. Se le situazioni psicologiche sono diverse, è come se il tempo si fosse fermato su quel paese siciliano e alcune situazioni musicali se non riecheggiano, sicuramente rimandano a Cavalleria rusticana, la grande preghiera corale, l’intermezzo, il brindisi, una sensazione di sole, di luce anche di rinascita;

Quello che sorprende è il finale positivo, inneggiante alla pace e al perdono. Ma se l’operina è apprezzabile da un punto di vista di un possibile sviluppo di una storia amara, sotto il profilo della redenzione, non altrettanto se lo si deve valutare come un sequel dell’opera di Mascagni o della storia di Verga per il quale i vinti restano tali. Comunque il musicista moderno è stato bravo nel creare un musical originale e facilmente seguibile anche nel descrivere bene la figura di Santuzza che resta l’antesignana della donna moderna ribelle che riscatta il suo ruolo di perdente.

Il film cartolare  è stato realizzato con la regia di Valerio Groppa ed ambientato nella assolata Fortezza Vecchia livornese, girato in circa otto ore di intenso set.

E’ incredibile vedere cosa fa la lirica col cinema e come il cinema la rende immortale ed eterna.

Nel Festival  Ninni Panzera ha proposto anche quattro anteprime italiane tra cui “Orphea in love”, un film del tedesco  Axel Ranisch  straniante ed immaginifico che  guida in un magico mondo favolistico del subconscio. Nele è una giovane e talentuosa cantante lirica estone, che lavora in un call center e fugge dal mondo che la circonda rifugiandosi nella opera lirica e nella sua splendida voce. Per la strada incontra Kolya, un giovane criminale saltimbanco della strada e i due si innamorano all’istante. Ma quando la tragedia la colpisce, deve affrontare i demoni del suo passato per bilanciare la sua vita. Una rivisitazione della saga di Orfeo. Si perché Orphea è Lei che viene trascinata agli inferi e vende inconsapevolmente la propria voce per ricercare Kolya che crede morto e perduto per sempre e per fare questo deve attraversare le porte che immettono nel passato della donna che, per liberarsi di una violenza, aveva causato la morte del suo precedente ragazzo. Le scene sono surreali ed imponente e bella la scenografia e ben raccontata la storia della Orphea moderna, tra l’altro una splendida attrice (Ursina Lardi) dalla voce accattivante. E’ un film a tratti commovente quando si ascolta Madama Butterflay indugiando sui primi piani di Nele.

Altro film, in anteprima, bellissimo il francese “Tènor” di  Claude Zidi Jr. Anche in questo film vi è uno sguardo plurimo non solo sulla lirica ma anche sulla diversità e la emarginazione e sulla vittoria. Antoine, un giovane parigino coreano studia contabilità senza convinzione, dividendo il tempo tra battaglie rap che pratica sostenuto dal talento musicale e il lavoro di fattorino di sushi. E durante una commissione all’Opera Garnier incontra la Signora Loyseau, che comprende che Antoine ha proprio un talento per la opera lirica. Tra i due nasce lentamente una comprensione profonda che spingerà Antoine a vincere la sua battaglia e a farlo amare dalla stessa famiglia che lo aveva abbandonato. La insegnante Le scriverà una lettera bellissima mentre è gravemente malata.  La lettura della lettera e l’avvicendarsi degli eventi creano un clima di commozione. Il film è molto positivo e ben girato e davvero coinvolge lo spettatore verso il supremo “Vincerò”, grido di rinascita oltre che di vittoria. La storia personale diventa la storia di una trasformazione in cui si intrecciano le vite di molti.

E’ poi la volta di “Carmen”, un film del 2022 diretto da  Benjamin Millepied, ballerino coreografo al suo esordio alla regia. La pellicola è liberamente tratta dall’omonima opera di Georges Bizet e della novella di Prosper Mèrimèe. Per sfuggire a un cartello della droga, dopo l’omicidio della madre, la giovane Carmen lascia il Messico e si dirige a Nord verso la California. Al confine incontra il vigilante Aidan, un veterano alla disperata ricerca di soldi per la sua famiglia. I due si innamorano e si recano insieme a Los Angeles per cercare aiuto da Masilda, la migliore amica della madre di Carmen che gestisce il night club “La Sombra”. Per vincere il denaro necessario per la fuga, Aidan combatte in un incontro di pugilato clandestino e, pur vincendo, rimane ferito mortalmente. Grazie al suo sacrificio Carmen riesce a fuggire.

Anche “Karaokè” è un film del 2024 di  Stèphane Ben Lahcene: Benedicte, famosa cantante lirica conduce una vita da diva tra palazzi parigini e ritrovi mondani. Dopo una serata di eccessi, vede crollare la sua carriera. Fatou, semplice donna delle pulizie è l’unica a contattarla, ma Fatou ha in mente di farla partecipare al concorso nazionale di karaoke, ovviamente la bellissima voce di Benedicte lascia tutti col fiato sospeso.

Molto gradito l’intervento al festival di Giuseppe Tornatore in occasione della proiezione del suo film “Stanno tutti bene”, scritto durante la lavorazione di “Nuovo cinema Paradiso” e bollato dalla critica italiana. Trovo che questo film del 90 sia uno spaccato dell’Italia della crisi che mostra un Paese allo sfascio con un Mastroianni intimista e volutamente felliniano anche nei momenti di straniamento dalla storia, si evidenziano le illusioni di un Padre che ha dato ai cinque figli i nomi altisonanti dei protagonisti della lirica. Giuseppe Tornatore sceglie ancora un protagonista sognante, passando dal piccolo Salvatore Cascio (qui interprete, nei flashback, del figlio scomparso) all’anziano Marcello Mastroianni (con spesse lenti d’occhiale). Il “sogno”, ha un’accezione triste; l’anziano genitore è circondato dalle menzogne di chi non vuole tradire le sue speranze nel futuro professionale e sentimentale dei figli, tutti mancati alle loro stesse speranze ed alle aspettative del padre. Anche l’Italia che il protagonista attraversa non è certo quella che incanta, il presente si confonde con la memoria, i figli sono fanciulli anche a quarant’anni, le diavolerie moderne (la segreteria telefonica) creano effetti caotici e stranianti. È un Tornatore che vuole creare un universo surreale e strano ed anche difficile, a mio avviso riuscendo, regalando commozione e nostalgia con le sue illusioni volanti come i pupi di zucchero della sua Sicilia e come quello della gigante medusa che rapisce i bambini.  In fondo il film è una bellissima opera sulla non accettazione della realtà e sul desiderio di mandare avanti il proprio microcosmo, la illusione che tutti coviamo nell’intimo. Il personaggio di Matteo Scuro immerso in una struggente malinconia come se volesse bloccare la realtà nel momento stesso in cui i figli hanno deciso di omaggiarlo travestendosi da personaggi d’opera in una fotografia d’insieme che porta sempre con sé. l’unico che è sincero con l’anziano protagonista è il nipote più grande, che confessa al nonno il fatto di aver messo incinta la sua fidanzatina ancora minorenne. Non a caso è l’unico a cui Matteo si rivolge quando la famiglia lo va a trovare nel suo letto d’ospedale. Resta il dilemma esistenziale dell’invecchiamento: è meglio fare finta di niente, fingendosi vecchi e incapaci di comprendere, oppure andare a fondo e cercare di scoprire la realtà dei fatti? Matteo riesce a non fare nessuna delle due cose, rimanendo sospeso in un’epoca che oramai non gli appartiene più. L’opera non mi appare così datata, dato che riemergono nella nostra modernità surgelata la stessa decadenza di valori che il film evidenzia raccontando la fine del mondo estetico che sognavamo e la disperazione della odierna mediocrità per chi credeva in un futuro glorioso. Notevoli le musiche di Ennio Morricone che appare in una scena del film di spalle.

Nel 2009 è stato realizzato un remake statunitense diretto da Kirk Jones dal titolo “Everybody’s fine” con Robert De Niro protagonista. Giuseppe Tornatore ha sfruttato  la tematica del  viaggio per tratteggiare (con occhio umile) la nostra società, aggiungendo spazi visionari e onirici molto ben sintonizzati con la dimensione reale. il regista di Bagheria riesce in questo film a raccontare, ancora una volta, una storia italiana, familiare. Emblematica è una citazione dello stesso Matteo Scuro (Mastroianni), ormai rassegnato, che rivolge al nipote Antonello, riferendosi al figlio che sta per avere con la sua compagna, “non educatelo a diventare qualcuno, insegnategli a diventare uno qualsiasi”. Torna la Sicilia e Morricone grazie a questa pellicola vincerà il suo terzo David di Donatello per la miglior colonna sonora. Si sente e si vede la complicità di Tonino Guerra, che riesce  a rendere la metafora ancora più Trovo bellissime le scene di Angela in procinto di partorire nel ricordo del protagonista. Bello rivedere il film dopo anni e trovarlo nuovo e moderno, forse tristemente moderno, un film che avrebbe meritato una altra sorte e che trovo, personalmente, superiore a “Nuovo cinema Paradiso”

Ninni Panzera ci regala anche il concorso dei cortometraggi  il cui premio è intitolato ad Emi Mammoliti vinto da “Josefin” “di Antonia Bain & Samuel Bordoli. La giuria composta da Fabio Mollo, Anne Riitta Ciccone e Leti Dafne: aggiudica il premio a questa opera ispirata da Franz Kafka “Per aver saputo raccontare il potere dell’arte e della bellezza nel connettere le anime e trionfare sul pericolo e l’isolamento, con un utilizzo magico e poetico di una tecnica cinematografica, quella dell’animazione, egregiamente gestita dalla regista. Un lavoro originale, scritto e cantato in maniera sapiente in un perfetto connubio tra cinematografia e opera lirica”, mentre il premio per il miglior attore protagonista va allo spagnolo  “Paraules d’un somriure”.

Tornano anche gli spot in “Opera spot” questa volta dedicati al gusto come Formento Carni, Morando spa ma il mio preferito è sempre Coca cola del 2023 da i Pagliacci: Vesti la giubba per l’impressione del colore e la fotografia e certo non manca la originalità della straordinaria Leti Dafne che è cantante lirica, autrice teatrale e rapper che dopo 25 anni di attività operistica dal 2016 si dedica a scrivere canzoni rap, che spesso utilizzano anche la voce lirica. Nel 2020 in piena pandemia è uscito il suo primo album “Molto di più” : Una voce incredibile che ha deciso di raccontare ai giovani la opera lirica attraverso la musica rap, una combinazione di voci e ritmi che rendono l’opera moderna ed accattivante.

Non ho apprezzato il film “Puccini e la fanciulla” ambientato a Torre del Lago e nel 1909 che narra la storia, poco conosciuta, di Doria Manfredi , giovane donna  cameriera presso la villa del Maestro. Una sorta di giallo che vuole svelare il mistero legato al suicidio della donna. Doria divide la sua umile vita tra la villa e la sua povera dimora sul Lago, ma assiste a qualcosa che non avrebbe dovuto vedere e cioè alla tresca della figlia del Maestro Fosca col suo giovane librettista. Per renderla inoffensiva la donna inventa una relazione tra la umile domestica e Puccini e lo racconta alla madre. Elvira infuriata caccia la donna. Segregata nella sua umile stanza morirà di inedia. Era un film che non ho visto al cinema e dunque devo ringraziare Ninni di averlo proposto al Festival.  Non ho amato la regia di Benvenuti che altri hanno trovata straordinaria poiché è caotico e confuso il racconto filmico

coautrice Paola Baroni fanno una scelta di totale rottura con il passato. Il film girato in esterni, infatti, fa a meno dei dialoghi: le uniche voci che si ascoltano leggono, fuori campo, alcune lettere che i personaggi si scambiano. La ‘provocazione’ linguistica c’è tutta ma a discapito di una ricostruzione che non arriva e genera confusione sui ruoli. L’asciuttezza dello stile è forse funzionale a mettere ciascuno di fronte alle proprie responsabilità,. La luce dalla campagna opaca crea ancora opacità. Il film che i critici reputano fortemente originale per me è criptico, ma ha la bellezza di far conoscere una parte della storia opaca della vita di Puccini.

Alla fine non poteva mancare nella storia di questa rassegna unica il teatro e la messa in scena di una cavalleria rusticana riveduta ai nostri giorni ed interpretata da una stupenda Stefania Sandrelli in “Relazioni pericolose”  con Rocco Roca Rey al pianoforte e la soprano Daria Masiero in cui Santuzza si ribella e narra ciò che è successo nella verità dopo aver rifiutato il concetto di  patriarcato senza più la accettazione supina di una volontà che non condivide.

E’ risoluta Santuzza nel denunciare ironicamente la sua sorte a cui non si assuefà parlando di chi la ha tradita. Abbiamo percorso l’intera vicenda di Cavalleria rusticana letta dalla sua parte. In lei vive l’orgoglio dell’amore ferito, e si avverte  la disperazione della donna poi divenuta saggia e determinata ed ora non è una donna che sta in silenzio. È una donna che reagisce e denuncia.
è questa la novità di Cavalleria rusticana rivisitata dalla Sandrelli e dalla sua Santuzza che è al contempo anche Lola con cui si confronta. Con questa lettura in scena si intende rivisitare Cavalleria rusticana non come dramma della gelosia ma come lo sguardo nuovo della donna che attraversa l’opera. Santuzza è la donna che non intende subire e il suo mondo interiore reagisce e denuncia le violenze subite e quasi ironizza su come si sia comportato quell’uomo che Lei aveva amato.

 

E sì che la indagine di Ninni Panzera sul cinema e l’opera è davvero pressante profonda mai stanca ed è scevra da giudizi di sorta proponendo il meglio nel mondo di questo straordinario connubio che ha legami sempre nuovi ed inattesi e fa scoprire momenti di interesse ed approfondimento di una letteratura del cinema che non era stata prima indagata così intensamente e profondamente. Sì questo festival si muove è forte trascina e coinvolge ed è decisamente in profonda crescita. Quali saranno i nuovi percorsi e le svolte improvvise non sapremo perché Panzera è imprevedibile ed è un ricercatore generoso ed attento che ha ancora sempre tanto da raccontare e lo fa con decisione e forza ed intenti innovativi legando tra loro vicende anche lontane trovando fili conduttori e narrazioni nuove.

 

 

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