NON CONVINCE L’OMAGGIO AD ANTONIO CARDARELLA DI NINNI BRUSCETTA

 

Cosa avrei fatto per ricordare un amico artista un po’ fuori le righe e persino antisistemico, se lo avessi voluto ricordare in uno spettacolo che lo rendesse leggibile? Bè avrei scelto l’impianto del racconto da parte di attori come ha fatto Ninni Bruschetta, ma…ma non avrei confuso gli spettatori con troppi imput intellettuali, avrei voluto restituire Lui, vivo, ad un pubblico che non lo conosce e così diro’ Che I siciliani di Antonio Cardarella, non mi raccontano Antonio, ma mi rendono di Lui la intima visione personale di Bruschetta che io non comprendo e persino trovo noiosa.

Chi era Cardarella? un poeta attore regista scrittore sospeso tra cinema e teatro che decise di fermarsi a Messina dove, purtroppo, mori’ a soli 50 anni, in silenzio, uscendo dalla scena artistica della citta’, così come si allontanano i maledetti sensibili, senza far rumore, all’improvviso. Con Ninni Bruschetta aveva stabilito una intensa collaborazione artistica che diede vita a quei capolavori come “Giulio Cesare” del 1999 e l’indimenticato “ Brutus” di cui fu autore e condivise con il nostro Francesco Calogero “La Gentilezza del tocco” e “Nessuno”, e ancora con Ninni Bruschetta “Visoni Private”. Morte di un Matematico Napoletano per la regia di Mario Martone, Un uomo di rispetto per la regia di Damiano Damiani e Storia di una Capinera per la regia di Zeffirelli sono e restano cinema dell’alto ….E poi….Poi come è stato/ ho posato la fronte/su uno scalino di marmo/freddo. E’ stato un attimo/una bolla vestita d’infinito. E una carezza non avesse/asciugato tutte le mie lacrime/non ti chiederei adesso/di poggiare la fronte sul tuo ventre/da cucciolo di ogni razza/sul tuo ombelico/goccia di rugiada bastarda/sfuggita alla rosa potata/Vuoi saper come?/hai posato la tua ala sui miei occhi/ e m’hai rubato il fiato e la corsa./ Ho vissuto un oceano distratto/che gioca con le barche/come un piano inclinato d’onde./ Assetato di saliva di parole/mi sono sputato in bocca la vita.

Antonio con le poesie rompeva il suo muro di silenzio e scorticava le sue ferite, perché la poesia non è da tutti né per tutti e proviene da una pena rara e sconosciuta. Ed allora il suo non- sense le frasi dimezzate di cose scritte come possono raccontarmi chi era? Fumava 40 sigarette al giorno, sentiva una musica particolarmente elevata e poi sceglieva le sue numerose maschere e se le metteva sul viso…camminando o solo…respirando mare.

Ma io oltre al racconto devo sapere di Lui più…. di più… devo fare capire di piu’ e di piu’, ma questo non mi arriva da quel racconto in scena a metà tra pubblico e palco, perché credo che l’inanellamento di frasi e scritti quasi provocatori non mi restituisce l’anima dell’artista. E sebbene Annibale Pavone è sempre stato un attore incredibile l’ho trovato sottodimensionato, purtroppo non convincente, mentre ho ammirato molto Maurizio Puglisi per la sua intensita’ e Margherita Smedile interprete della terra e della dimensione della Sicilia. Uno straordinario Giovanni Renzo con l’orchestra del Teatro Vittorio e le eccellenti musiche mi restituiscono l’anima sognante e stravagante di Antonio, perché posso immaginarlo, ora sì, in una Messina-Detroit tra un bicchiere di birra e il jazz e magari le sue burlate. Ed io quando parlo dei poeti parlo dei visionari …del surreale modo che la vita ha di perseguitarli…Ora dico quando l’interesse per l’apparato scenico viene messo in primo piano, trionfa purtroppo il gusto visivo e la mia personale immaginazione di pubblico e, naturalmente, decade la poesia drammatica, viene meno l’intento per cui si è pensato di creare un omaggio. Era il poeta a dover trionfare…l’artista….la massiccia determinazione di un uomo e la sua intima pretesa di esistenza. La parola nel teatro è seduta in prima fila …è determinante per descrivere luoghi, momenti e stati d’animo e deve essere prorompente cupa spettrale sorridente ma…comprensibile. Un plauso dunque a Giovanni Renzo ed alle sue metafore orchestrate cui, a mio avviso, è andato il grande applauso del pubblico.

Ed ora arrivederci Antonio…ci vedremo in un mondo in cui non dovremo raccontare a nessuno chi siamo stati, perché non lo abbiamo detto quale tormento recammo anche solo nel volgere uno sguardo…la pena è un vizio solitario…è una spina acuta….un sussurro di Dio che per qualche strano motivo ci accompagna e ci salva nell’attimo in cui stiamo, di nuovo, guardando l’azzurro.

Anna Mazzaglia

 

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