LE CONFESSIONI DI UNA DONNA

La collaborazione tra la Fondazione Taormina Arte e la Fondazione the Brass Group porta al Palacongressi il film “Le confessioni di una donna” un film del 1928 di Amleto Palermi film drammatico muto commentato in sala da una orchestra di eccezione affidata a veri Maestri della Scuola Popolare di Musica del Brass, e ai solisti dell’Orchestra Jazz Siciliana. Diversi i Maestri del Brass che hanno eseguito le musiche dal vivo tra cui Vito Giordano, Umberto Porcaro, Diego Spitaleri, Fabio Lannino ed il giovane allievo Ciccio Drummer Foresta. Presenti durante l’esecuzione live anche i solisti dell’Orchestra Jazz Siciliana, fiore all’occhiello del Brass che di recente ha accompagnato artisti come Billy Cobham e Christian Tumalan, big del panorama musicale internazionale. Tra i Maestri dell’OJS anche coloro che hanno ccompagnato con improvvisazioni la pellicola cinematografica ci sono Ninni Pedone, Francesco Marchese, Salvatore Pizzurro, Faro Riina, con la consulenza del Direttore OJS Domenico Riina. Musiche rigorosamente di tradizione jazzistica, alternate a composizioni originali a sessioni di improvvisazione, per l’intera durata della proiezione. Un regalo in musica che le due Fondazioni hanno inteso regalare all’insegna della cultura e della promozione della musica jazz a tutta la cittadinanza per un film bellissimo proiettato il 30 dicembre, “Le confessioni di una donna” (1928) per la regia di Amleto Palermi, con Augusto Bandini, Maria Catalano, Gemma De Ferrari, Americo De Giorgio, narra le vicende di una donna. In un ospedale viene accompagnata una giovane donna ferita da un’arma da fuoco. La ferita è profonda e la donna è in fin di vita. Al suo capezzale per assisterla il primario lascia un infermiere che casualmente trova un diario. È il diario della donna ferita che racconta la sua vita senza mai rivelare il suo nome. Lei racconta di essere vissuta per un lungo periodo con il padre, proprietario di una miniera, in un piccolo centro siciliano. La madre l’aveva abbandonata da piccola. Un giorno la miniera prende fuoco e tra i morti c’è anche il padre. La giovane donna va allora in cerca della madre ma non la trova. Disperata. riesce ad ottenere un lavoro come dama di compagnia di una ricca baronessa siciliana, della nobile famiglia Torrisi Tripiano. La baronessa ha un figlio, Paolo. Durante un viaggio in treno attraverso la Sicilia (Agrigento, Siracusa e Taormina) i due si innamorano. Paolo però è promesso alla baronessina Villarosa. A Taormina la giovane donna incontra due stranieri che la prendono a ben volere, il signor Jackson e la Principessa. Quando la baronessa Tripiano scopre la giovane dama di compagnia nella stanza da letto del figlio la licenzia. La giovane donna trova rifugio a casa dei due amici stranieri che presto si rivelano dei truffatori. La giovane aspetta una figlia che è costretta ad abbandonare e ad affidare a una famiglia di pescatori che vivono sull’Isola Bella a Taormina. I due stranieri nel frattempo ricattano Paolo chiedendogli soldi per la bambina, soldi che di fatto incassano loro e mentono con la giovane donna, raccontandole che Paolo non vuole più saperne di lei. La giovane donna è soggiogata dai due stranieri e conduce una vita triste e disperata. Un giorno torna in Sicilia per rivedere la figlia e decide a tutti i costi di ritrovare Paolo e vendicarsi della sua indifferenza. Durante la gara automobilistica della Targa Florio lo rivede. Lui è sempre innamorato di lei e pur di riconquistarla, inizia a frequentare i due loschi stranieri. Questi leggono in un giornale che Paolo ha ideato un triplano che vale una fortuna e complottano di rubargli tutti i documenti e il progetto. Obbligano la giovane donna ad aiutarli. Paolo e la giovane donna s’incontrano a Mondello e scoprono di essere stati entrambi ingannati dalla coppia Jackson-Principessa. La giovane donna rivela a Paolo che l’intento dei due è rubargli il progetto e i documenti per poi ricattarlo. Paolo cerca di fermarli ma è troppo tardi, i due sono già scappati con il malloppo. La donna sa però dove scovarli. Si reca sola nella bettola dove loro si nascondono e li affronta con grande coraggio. Riesce a farsi rivelare dove hanno nascosto la figlia, a riprendere i documenti e il progetto del triplano e a scoprire che la principessa non è altro che sua madre. Riesce anche a riconsegnare tutto a Paolo e a dirgli di andare a salvare la figlia ma viene ferita gravemente da Jackson che le spara. Il film si conclude nella stanza di ospedale la giovane donna si risveglia, è salva, e ad accoglierla e ad abbracciarla c’è Paolo e la figlia. E la madre, ora puo’ solo guardarla da lontano. E’ bellissimo questo film di matrice espressionista che restituisce una Sicilia intatta dove sono riconoscibili i posti..Mondello come Monreale e Palermo, ma anche Taormina tra San Domenico, lo storico locale Il Sesto Acuto e splendide vedute della Villa nonché la strabiliante Isola Bella. Ninni Panzera sceglie percorsi difficili ma incredibilmente audaci e fantastici ci conduce dentro un muto commentato da una splendida musica per farci vivere i luoghi di questa Sicilia del lontano 1928 in cui vi era un cinema denominato cineromanzo ed il cui regista compiutamente torna sui luoghi natii per esprime la sua cultura siciliana.

Ma chi era Amleto Palermi? Regista e sceneggiatore. Nacque l’11 luglio 1889 a Roma, terzogenito di Raoul Vittorio, giornalista, e di Emilia Scarpelli. Quando aveva solo pochi mesi, la famiglia, di origine siciliana – composta anche dai fratelli Manfredi e Italo – si trasferì a Palermo, dove Raoul Vittorio assunse la direzione de Il giornale di Sicilia e dove nacque l’ultimogenito, Gustavo. Palermi si dedicò da giovanissimo all’attività giornalistica, ma anche alla scrittura di copioni teatrali. Dal 1908 al 1919 – quando tornò a Roma – scrisse infatti, ‘U lupu, Il tesoro d’Isacco e La vela grande in siciliano e Il primo amore in italiano: copioni modesti, ma sperimentali, che furono rappresentati su palcoscenici nazionali da alcune filodrammatiche.

Nel 1914 fu scritturato come metteur en scène dalla casa di produzione torinese Film Artistica Gloria e da quel momento entrò ufficialmente nel mondo del cinema, ottenendo contratti con altre note ditte nazionali, come la Augustus Film, la Cosmopolis, la Cines e la Rinascimento Film, della quale fu uno dei fondatori. Diresse, almeno fino agli anni Venti, con ritmi frenetici, numerosissime pellicole, molte delle quali – pietre miliari del cinema muto italiano – interpretate da alcuni dei divi più in voga. Debuttò nella regia con il melodramma Colei che tutto soffre (1914), al quale seguì, nello stesso anno, Il diritto di uccidere. Nella seconda metà degli anni Dieci diresse, tra gli altri, i «languidi e appassionati» (Baldi – Di Giammatteo, 1996, p. 998), Lyda Borelli e Livio Pavanelli in Carnevalesca (1916; di questo film curò anche la sceneggiatura insieme con Lucio d’Ambra), nonché una «struggente» Soava Gallone in Madre (1916). Nel 1920 fu la volta di una «focosa e tenebrosa» Pina Menichelli, protagonista de Il romanzo di un giovane povero, diretta ancora nel 1922 in L’età critica, nel 1923 in La dame de chez-Maxim’s, La seconda moglie, La biondina e L’uomo e la donna, nonché nel 1924 in Occupati di Amelia!.

Apparve anche nei panni di attore, seppure in ruoli secondari, e scrisse soggetti e sceneggiature per altri (La pantomima di Mario Caserini, La chiromante di Mario Almirante ecc.) e per sé (Il sogno di Don Chisciotte, La Bohème, Il piacere, Malafemmina, Dramma d’amore ecc.).

Sposò negli anni Venti Ida Molinaro, dalla quale ebbe tre figli Fioretta, Filippo – morto nel febbraio 1925 – e Francesco Saverio, nato nel 1926.

Nel 1925 la sua carriera conobbe un momentaneo insuccesso. Non riuscì infatti a condurre a termine la direzione de Gli ultimi giorni di Pompei, ultima grande produzione del cinema muto italiano; il kolossa storico – alla sua terza versione filmica, dopo quelle del 1908 e del 1913 – decretò il fallimento di una cinematografia troppo ambiziosa e dispendiosa. Palermi fu costretto a emigrare in Germania, sperando in miglior fortuna, e fu poi a Carmine Gallone che spettò il compito di completare, nel 1926, la coregia della pellicola. In Germania girò, ancora nel 1926, una versione del pirandelliano Die lebende Maske – Heinrich der Vierte (Enrico IV) e nel 1929 diresse l’ultima pellicola muta, La straniera.

La conversione al sonoro lo vide impegnato nella realizzazione del primo film parlato in italiano, Perché no?, sfornato dalla fabbrica dei multipli e delle pluriversioni che, non essendosi ancora sviluppata la pratica del doppiaggio e del sottotitolaggio, fu edificata nella primavera del 1930 dall’americana Paramount nella località francese di Joinville-le-Pont. Continuò per molto tempo a interessarsi di cinema con grandi interpreti come Emma Gramatica, Armando Falconi, Isa Miranda, Angelo Musco, Nino Besozzi, Sergio Tofano, Vittorio De Sica e Fosco Giachetti. Si iteressò del genere melò con La peccatrice, di cui il primo ciak fu battuto il 6 maggio 1940, interpretato da un gruppo di straordinari attori (Giachetti, De Sica, Paola Barbara, Gino Cervi, Umberto Melnati), ebbe il merito di rinnovare il genere all’interno del cinema italiano ma anche di tenere a battesimo il teatro di posa del Centro sperimentale di cinematografia, all’epoca considerato tra i più moderni d’Europa, che mise a disposizione della troupe, oltre all’attrezzatura tecnica, molti altri suoi locali: dai camerini per gli attori alle stanze per il trucco e le acconciature, dalla sala per la proiezione dei giornalieri a quella delle moviole per il montaggio. Si dedicarono al film anche le forze migliori del Centro: il presidente Luigi Chiarini si impegnò attivamente nella creazione e nell’organizzazione e, insieme a Umberto Barbaro e a Francesco Pasinetti, docenti presso la stessa scuola, scrisse la sceneggiatura. Autorizzò poi la partecipazione alla pellicola di alcuni allievi delle sezioni artistiche e tecniche dell’istituto e stipulò accordi produttivi con la Manenti Film, sia pure sotto la vigilanza del Minculpop (Ministero della Cultura popolare). Dotato anche di una vena narrativa audace cantore di «personaggi semplici» e piccolo-borghesi, di «provinciali incalliti nelle loro modeste consuetudini» (Mida, 1949, p. 34), Palermi diresse ancora nel 1941 L’elisir d’amore – ispirato all’omonima opera lirica di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani – prima di essere colpito da una malattia fatale, forse meningite. E morì a Roma il 20 aprile 1941. Questo film incantevole ce lo fa conoscere come poeta che racconta non solo una storia ma la Sicilia che fu il suo grande amore.

Anna Maria Mazzaglia Miceli

 

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