LAMPEDUSA: MIA SPES ED ULTIMA DEA

 

Il mio teatro da vivere e comprendere quest’anno inizia con “LAMPEDUSA”, il caso ha voluto che fosse così, forse perché venendo fuori da una morte dell’anima e da un lungo periodo di malattia avrei dovuto almeno riprovare cosa è LA SPERANZA. La nostra Lampedusa è ovunque…. da questa isoletta si diparte un macrocosmo che coinvolge tutte le vite degli altri, percio’ che a scrivere di migranti-migratori (mi viene di paragonare agli uccelli le persone) del Mediterraneo sia un autore inglese Anders Lustagarten, non mi sorprende per nulla, anche perché proprio Lui ha scritto su indagini socio-politiche passando dalla critica al grottesco nella narrazione. Sono 75 minuti sull’orlo del mare…o di un precipizio o di un camminamento da equilibristi sul filo…… di giorno o notte poco importa. E’ un luogo real-metafisico che fa riflettere. Esiste un lampione di avvistamento e due voci che si alternano incessantemente. In realtà sono due monologhi, due idee di mondo “da soli” due fonde meditazioni della esistenza sulla fuga e sulla morte, anche quella interiore.
Stefano e Denise
(Fabio Troiano e Donatella Finocchiario) non colloquiano ma sono due fantasmi che parlano in distanze siderali. Il primo è un pescatore di Lampedusa, dove di pesce, ormai, in mare se ne trova poco. In compenso, si trova sempre più spesso a raccogliere cadaveri e ne descrive il peso specifico…quelli che sembrano sacchi, altri che si sfaldano e poi quei bambini…… Non vorrebbe vedere il brillio negli occhi di chi arriva…non vorrebbe neppure vederli, perché in Italia non c’è nulla e loro invece arrivano tutti con questa “matta speranza”. Ma poi deve ammettere che vorrebbe averli Lui quei sogni e diventa, senza volere amico di un immigrato che si è fermato al porto, almeno Lui ci racconta questo…e ci racconta della forza di chi sa ancora far tutto…tanto da aiutarlo a imbarcarsi di notte in una impossibile imbarcazione per raggiungere la moglie. Ed è sempre Lui che soavemente descrive la danza di un uomo ed una donna che si ritrovano credendosi perduti. Una danza d’amore, per chi lo possiede…vivendo l’hic et nunc e cioè la vittoria di saper vivere pochi beati secondi…tanto il pane se c’è viene poi dopo.

La seconda è una ragazza di città, figlia d’immigrati, che per mantenersi agli studi lavora per un’agenzia recupero crediti. Anche Lei è travolta dalla caotica vita della città pericolosa ed insidiosa. Ha una madre inabile che le rende la vita piu’ difficile. Ma nell’isolamento e nel degrado trova appoggio miracoloso in una “cliente”, una ragazza madre sommersa dai debiti che lei salva dal momentaneo disastro. La madre muore, Denise non sopporta più il suo lavoro, e lo lascia. Da quel momento il suo orologio segnerà i quarti e le ore in modo differente scegliendo come trasformare la coercizione in solidarietà.

Si potrebbe dire che questo spettacolo disegna legami invisibili .Le due persone lontanissime sono ombre che vivono la stessa tragedia e sul palcoscenico le loro voci libere svelano la inconsistenza della politica, la indifferenza della società, da cui ci si salva solo attraverso piccoli gesti individuali di solidarietà

Bella la regia di Gian Piero Borgia penetrante e a volte cupa la scena di Alvisi+Kirimoto , importanti le luci di Stefano Valentini. Incredibile l’attore Fabio Troiano e decisamente non in forma Donatella Finocchiaro che si fa fatica a seguire.

Insomma ieri sera sono stata su una barca in mezzo al mare …e mi è venuto quasi un malessere che covo da tempo:l’isolamento…il senso dell’esserci-non esserci, perché viviamo immersi in un rancore globalizzato che ci fa dimenticare i valori per cui vivemmo, tutti così resi monadi da uno Stato ladro, contro il quale non ci si puo’ difendere, se non seguendo la solita luce….anche quella di un galleggiante che porta in salvo un vivo…e quel vivo ci parla di altre guerre di sopravvivenza, di semplicità di conquista di una riva, di un mondo, anche solo di un sorriso.

La pièce teatrale è breve ed intensa perché non parla solo degli extracomunitari e della integrazione ma fa leva piuttosto sulla PIETAS, quella che abbiamo perduto e sulla improvvisa CUM-PASSIO di un passante, E’ in fondo ironicamente una denuncia sociale del nostro mondo fatto di Banche che dissanguano e di Poteri Forti che nessuno elimina. E ci sarebbe da dire molto sulla Sicilia…questa grande zattera impotente nel Mediterraneo buttata lì da Dio ad indicare bellezza e sofferenza ed anche sulla città piu’ povera di ingegno che è Messina, non perché non abbia avuto o non abbia persone di ingegno ma perché la massa si nutre di una banalità senza fine, ignorando il mistero del valore aggiunto che sarebbe chiedere ad alcuni Giudici di dimettersi in quanto longa manus di un sistema estremamente corrotto.

E poi vuoi mettere la bellezza del Teatro Vittorio….la transumanza di un mondo che a specchio ci racconta di questo atavico rancore? Il Teatro si erge possente, abbiamo due audaci direttori artisti, un Presidente che si batte, un Sovraintendente che dice : “Le porte sono aperte non ci lasciate soli”, ma il Teatro è solo, ad una conferenza ho visto un Collega andar via invece di comprendere come si puo’ e si deve ripianare un debito creato da altri. Se tutti si capisse da che parte stare non ci troveremmo nelle nostre estreme Lampeduse, quasi ……senza speranza.

 

Anna Mazzaglia

 

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