IL GATTOPARDO: RIFLESSIONI E CONFRONTI

Il romanzo eterno e super-moderno tra letteratura film e serie TV

“Il Gattopardo”, celebre romanzo storico-esistenziale, scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, torna a far parlare di sé dopo l’arrivo su Netflix della serie “The Leopard”, riproponendo un confronto tra letteratura e cioè il libro scritto dall’autore, il film straordinario di Visconti e questo nuovo film a puntate che è, direi, tratto liberamente da Il Gattopardo. Questa nuova visione non poteva sfuggire al regista Alfredo Lo Piero, titolare della scuola di cinema a Catania che propone un incontro affascinante nel suo teatro della riflessione, affollatissimo per la occasione, ed ad introdurci alla meditazione collettiva sono l’elegantissimo coreografo Nino Graziano Luca, reduce da “I LEONI DI SICILIA”, la serie DISNEY diretta dal grande Paolo Genovese che ha scelto proprio Lui  ed il corpo di Ballo della Compagnia Nazionale di Danza Storica dallo stesso diretta, per la trasposizione cinematografica italo-statunitense tratta dal romanzo di Stefania Auci che narra le vicende dei Florio, famiglia di armatori e imprenditori calabresi che nella Sicilia dell’Ottocento divenne una delle più ricche e influenti dell’intera Italia. Graziano Luca ha collaborato già con la Disney in ROSALINE diretto da Karen Maine, una commedia romantica americana che rivisita, in tono leggero, con ironia e divertimento puro, una delle storie d’amore più popolari al mondo: Romeo e Giulietta. E’ un uomo affascinante e gigante Graziano Luca che nella narrazione è composto e coinvolgente come un fine conoscitore delle vicende del romanzo di Tomasi di Lampedusa. Con Lui, in questo splendido salotto del teatro più accattivante del mondo, vi è Maria Antonietta Ferrarolo, autrice di saggi quali “Tomasi di Lampedusa e i luoghi del Gattopardo” ed “Il Gattopardo raccontato a mia figlia”. Insieme a loro sono presenti all’evento anche Giusi Agnese Abbadessa, docente di danza storica della Compagnia Nazionale di danza storica per la CNDS School e Vita Ventimiglia, maestra di danza storica per l’affiliata CNDS School La redingote.

E così che i due artisti relatori tracciano il profilo de Il Gattopardo, conversando amabilmente del libro del film imponente di Visconti e della nuova serie di Netflix, guidandoci semplicemente nella comprensione degli avvenimenti, come se stessero parlando di una storia di famiglia in modo accattivante …quasi una favola moderna.

Ma, quando si parla del mio Gattopardo mi viene sempre in mente una frase che mi appartiene “La mia è un’infelice generazione, a cavallo tra due mondi e a disagio in tutti e due. E per di più, io sono completamente senza illusioni”.  perchè anche io ho assistito alla attuale tragedia moderna… essendo nata nel dopoguerra e vivendo poi tempi assurdi sino ad oggi che tutto è straordinariamente cambiato ancora in peggio. Perché se la caduta dei Borboni e l’avvento di una nuova Italia dava ancora un anelito di speranza e delusione insieme, ciò a cui ho assistito dalla fine della guerra che sembrava annunciasse una ripresa economico e sociale è stato progressivamente l’edificarsi di un mondo in rovina sino ad arrivare ai Grandi di Davos Covid-Non Covid e guerre comprese raccontate in modo falso ed arrogante e la fine della dinastia delle menti. Il Gattopardo è sicuramente un libro molto intimista che dialoga con ciascuno di noi ed è anche un grande affresco mortuario, un libro complesso che rapisce ed inabissa. Narra della fine di una epoca, di una famiglia, raccontandoci in fondo di un nobile e di un uomo e che uomo: Giuseppe Tomasi di Lampedusa che muore povero, dopo che, improvvisamente nel 54, dopo una vita da grande intellettuale, produce questo libro incredibile decidendo di adottare un figlio Gioacchino, quasi prima della morte che avverrà due anni dopo. Questo uomo, un Principe, ha perso tutto anche il Castello della moglie, ma sente il bisogno di scrivere …di essere testimone di un tempo più antico annunciando in fondo la decadenza a cui avremmo assistito e soprattutto da cosa nascesse questo “inabissarsi di valori”. Il romanzo non venne pubblicato ma Giuseppe si fece promettere da Lucy, la moglie, che avrebbe provveduto Lei a farlo conoscere e Lucy mantenne la parola ed inviò la copia del libro  ad Elena Croce ma, per una serie di sventure, ancora la copia venne dimenticata su una seggiola  e ritrovata fortunosamente da una cameriera che riuscì  a salvarne solo sei parti che, finalmente, arrivarono poi a Giorgio Bassani, ma era solo una parte e perciò solo dopo che Bassani riesce a parlare con Lucy scopre che al romanzo mancava tutta la parte del ballo che venne ricostruita, e che è la parte centrale anche del film di Visconti. Ma chi era Tomasi di Lampedusa? Un letterato intellettuale europeo che ha anticipato la grande letteratura europea ponendosi accanto a Proust, come innovatore, precorrendo di decenni la grande letteratura europea e dichiarandosi visibilmente progressista nel momento in cui previde anche l’arrivo dei bombardieri americani. Proust era stato rinomato come il maestro del  romanzo moderno grazie alla sua abilità di cogliere il passare del tempo e di descrivere la vita autentica, o “vraie vie”, attraverso l’analisi dei suoi sentimenti più intimi, profondi e celati. Tomasi di Lampedusa è anche Lui un grande romanziere moderno.

Il libro di Tomasi di Lampedusa, scritto dall’autore nei suoi ultimi anni di vita, tra il 1954 e il 1957, ha rischiato di non essere mai letto da nessuno. Fu poi infatti rifiutato da diversi editori, per poi essere dato alle stampe addirittura dalla Feltrinelli (chi lo avrebbe mai detto: un uomo antico ed un editore progressista), grazie a Giorgio Bassani. L’anno dopo vinse il Premio Strega, di cui però l’autore siciliano non seppe mai nulla, perché morì il 23 luglio 1957. Aristocratico, per la storia lo scrittore si è ispirato alla sua famiglia: il Principe di Salina era infatti il suo bisnonno.

Visto il grande successo editoriale, il produttore Goffredo Lombardo, fondatore della Titanus, comprò i diritti del romanzo nel novembre del 1958 ed il regista Luchino Visconti non poteva non innamorarsene, così pronto sempre ad analizzare i temi della morte ed a causa della sua proverbiale mania per i dettagli e l’accuratezza storica, un amore per i particolari maniacale, fece lievitare i costi del film che furono di ben 3 miliardi di lire. La prima del film si tenne al Cinema Barberini di Roma il 27 marzo 1963 e il film vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Nonostante il successo e i premi però, la pellicola, insieme a “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini, provocò il fallimento della Titanus.

Un grande impiego di mezzi c’è stato anche per realizzare la serie Netflix: i sei episodi hanno avuto un budget di cinquanta milioni di euro, diverse location in Sicilia, cinquemila comparse e anche l’impiego sul set di cento animali (compreso lo splendido levriero irlandese, Bosco, il cane di Don Fabrizio).

Nel film di Visconti a interpretare il Principe di Salina è Burt Lancaster, mentre nella serie è Kim Rossi Stuart. Per quanto riguarda i personaggi di Angelica e Tancredi, invece, nella pellicola sono Claudia Cardinale e Alain Delon, mentre oggi sono Deva Cassel e Saul Nanni. L’immagine della Cardinale che balla è diventata iconica, anche nei raffronti social che, in questi giorni, comparano le immagini del doppio girato in continuazione. E sebbene oggi non si possa fare a meno di pensare alla Cardinale quando ci immaginiamo Angelica, in realtà Cassel è più vicina alla descrizione del personaggio che si può leggere nel libro. La prima aveva infatti 25 anni quando ha girato, mentre la seconda diciannove, proprio come Angelica. Nel testo si legge: “Bellissima ragazza dagli occhi verdi, la bocca a forma di cuore, l’incarnato lucente e la chioma corvina. Anche Saul Nanni è vicino alla descrizione del personaggio del libro: “Tancredi è un giovane sul cui viso magro e triangolare spicca un’espressione beffarda che tanto attrae. Gli occhi di un azzurro torbido, spuntano a fatica, ma pur sempre ridenti, dalle fessure delle palpebre“. Ma Tancredi insieme alla bella Angelica non reggono il confronto con gli originali. Tancredi-Nanni biascica nella recitazione ed ha una statura contenuta rispetto al Tancredi-Delon, e la stessa considerazione va fatta per Deva Cassel che non ha la sensualità avvenente e mai volgare della Cardinale. Un elemento differente è il vestito di Angelica al ballo. Nel libro Tomasi di Lampedusa dice che la ragazza ha un abito rosa. Nel film di Visconti, invece, il costumista Pietro Tosi, scelse il bianco. Confezionato dalla sartoria Tirelli. I costumi della serie Netflix sono invece di Carlo Poggioli, che ha conosciuto Tosi, scomparso nel 2019. Ha lavorato con il professore Raffaello Piraino, esperto di storia del costume siciliano. Il colore scelto questa volta è il rosso. Probabilmente i differenti colori esprimono le due epoche diverse che interpretano il libro per farne una rappresentazione consona alle modernità: timida e casta quella di Visconti, audace passionale e femminista quella dei nostri giorni. Ma poi il ballo…Vogliamo parlarne? Quando mai è esistito il parchè nelle case dei nobili siciliani e quando mai le donne vengono fatte saltare in aria protese quasi come nelle danze popolaresche pugliesi?

La più grande differenza della serie rispetto al libro e al film è l’aver reso il personaggio di Concetta, figlia del Principe, protagonista. Nel testo è sottomessa e ubbidiente. Nell’adattamento televisivo invece è molto più forte, si confronta sia con Tancredi che col padre, di cui appare avere il carattere tosto. Concetta è, nella serie, una femminista in qualche modo destinata a continuare il piglio duro del Principe di cui delinea il carattere e perché no forse colei che deve continuare non la specie ma la serie???? Uno sguardo moderno su un mondo ormai lontanissimo da noi. A interpretarla è una bravissima Benedetta Porcaroli. Gli sceneggiatori della serie, Richard Warlow e Benji Walters, hanno preso spunto da uno degli ultimi capitoli del romanzo, che è raccontato proprio dal punto di vista di Concetta. Nella serie Don Fabrizio chiama la figlia a sé e le lascia in eredità la sua tenuta, che lei mantiene con tutta la famiglia. Mentre nel romanzo Concetta detesta Angelica, ritenendola responsabile della propria infelicità, nella serie la figlia di Don Calogero Sedara contribuisce alla gestione della tenuta dei Salina con i suoi investimenti. Nel libro il finale è più amaro: si conclude nel 1910 e i figli del Gattopardo si litigano le spoglie di ciò che è rimasto dei beni del padre.

Ma il Gattopardo resta un capolavoro unico ed irripetibile attraverso lo sguardo lucido di Don Fabrizio, principe di Salina, interpretato da un magnifico Burt Lancaster, Visconti legge a posteriori la storia italiana con disillusione e pessimismo, raccontando il tramonto di un’epoca e l’alba di un mondo nuovo. Il film ruota attorno al matrimonio del nipote, Tancredi Falconeri, rappresentante della vecchia aristocrazia latifondista, e Angelica, figlia di Don Calogero Sedara, esponente un po’ stravagante di una borghesia arricchita che si apprestava ad instaurare un nuovo equilibrio. Sì, era il nuovo ingordo e pacchiano che avanzava, sincero e passionale ma privo di verve e soprattutto qualunquista.

Non me ne voglia alcuno, ma Calogero Sedara mi ricorda un nuovo politico siciliano che ha la capacità di rifondarsi in continuazione, sempre scaltro e senza remore, un mitico predatore di masse…tempi moderni? A quanto pare no se questo sindaco vigile come le volpi è un esponente di oggi (di quella teoria gattopardesca del lascia che tutto cambi…. per restare tale e quale) ed a capo di una comunità che dovrebbe essere dotta ed anticipatoria come Taormina per esempio. Adesso non so se il nostro stravagante Cateno De Luca si sia ispirato a Don Calogero Sedara o se è mera coincidenza ma sicuramente Sedara aveva la capacità di guardare lontano che le nuove generazioni non hanno. La ascesa del nostro Sindaco somiglia ahimè a quella di Don Calogero da un punto di vista strettamente macchiettistico. Venne a Messina con la pecora e si scatenò anche in maniera attoriale e ridente quando doveva travolgere. In questo senso Tomasi di Lampedusa è anticipatore perché vide quel nulla che si stava insinuando nelle pieghe amare della vita. Quel sottile saper contare i soldi ma non saper avere la grande dimensione di chi ha una coscienza intellettuale del vissuto. Il Principe di Salina deve vedere tutto ciò con progressivo distacco, accettando che questo nuovo modello arrivi nella società che si era venuta creando col nuovo potere della borghesia, prevedendo per sè stesso, obblio dimenticanza e morte. Non dimentichiamo che lo scrittore è un uomo che dalla nobiltà viene perdendo tutto e che lascia questo romanzo come se fosse un testamento e una eredità di grandezza che è passata.

Il Gattopardo è la storia del Risorgimento come rivoluzione tradita, dell’illusione del cambiamento che si rivela mero avvicendamento di un potere con un altro. Anche un film politico che passa attraverso i gesti quasi simbolici dei suoi personaggi. La morte fa capolino da ogni angolo, a partire dalla prima scena in cui il ritrovamento del cadavere di un soldato interrompe la preghiera collettiva della famiglia Corbera e dai degradati vicoli di Palermo irrompe la battaglia. Una morte che tormenta il protagonista fino alla fine del film.

Don Fabrizio vede attraverso i personaggi con cui interagisce, ne prevede gli intenti, sente che sta giungendo la fine della sua classe sociale e di non poter fare nulla per frenare quest’onda inarrestabile. Ma quello che gli arreca più sofferenza è il panorama di incoerenza e cinismo che lo circonda, dove tanti giovani sembrano aver rischiato la vita, non per degli ideali, ma semplicemente per opportunismo. Anche Tancredi lo fa, rinnegando persino i garibaldini, tanto si è già, il giorno dopo, investito di un nuovo percorso di cui accoglie tutto. Il vuoto è affamato di ricchezza e potere e di fronte a questo trionfa e diventa gigante la statura morale ed ideale del protagonista.

Visconti si identifica pienamente in Lui, come accadrà con un altro personaggio interpretato sempre da Burt Lancaster, ovvero il professore, protagonista dell’ultimo film di Visconti: Gruppo di famiglia in un interno. Due personaggi ossessionati dalla morte e privi di speranze verso il futuro.

Colpisce nel film la dilatazione temporale del ballo che è uno strumento che il regista utilizza per osannare non solo la meraviglia barocca di scenografia e costumi, curati nel dettaglio ma anche per denunciare nel trionfale la claustrofobia oppressiva. Il caldo torrido delle stanze porta i personaggi a sudare tanto, suda il Principe, suda il Sindaco…sudano i soldati facendo da contraltare a quello specchiato ed edonistico quadro del ballo mentre tutto implode… persino le giovani donne ragazzine che somigliano a scimmiette saltellanti ed i  discorsi reazionari dei militari. Una sequenza interessante che termina con lo sconsolato Don Fabrizio in cammino attraverso il degrado e l’abbandono dei quartieri palermitani. Purtroppo vince la ricchezza che spietata spazza via i ricordi.

Con Il Gattopardo Visconti realizza un’opera universale. Il libro è scorrevole, come il film ed è tuttavia da sottolineare come la tragedia e persino l’orrore di certe scene riescano a fondersi con una sottilissima e quasi involontaria ironia che alleggerisce il dramma (che nulla ha a che spartire col romanzo storico- famigliare romantico. Il gattopardo è un romanzo preciso, colto e gentile come il suo autore, che ha prestato al protagonista, il Principe di Salina, alcune proprie caratteristiche fisiche e caratteriali (l’amore per i cani e per l’astronomia, per esempio). Visconti sceglie la strada della trasposizione fedele : scarta solo un  paio di episodi insignificanti e, soprattutto, lo mutila degli ultimi capitoli: la infilmabile morte del principe e un malinconico, ma un po’ fuori tono, “vent’anni dopo”, mentre concentra la sua attenzione su tre capitoli: i garibaldini a Palermo; la famiglia in campagna, a Donnafugata, con l’incontro tra i giovani Tancredi ed Angelica e il plebiscito per l’annessione al Regno (una vera e propria lezione di storia che andrebbe proiettata in tutte le classi che studiano il Risorgimento); il ballo a Palermo, un’ora di film per un’unica sequenza di immensa bellezza e grande significato. Il film è lento, grandioso, solenne. La serie purtuttavia si gusta nella sua tremenda modernità nelle varie puntate che però si vedono subito, perché vogliamo capire sino alla fine. Le conclusioni nostre sono che se anche la serie è meno potente se è utile per far conoscere un grande libro e un grande film ben arrivi, anche se decurtata della grandiosità, perché è moderna e serve ai giovani che si accostano prima ai video e dopo magari alla lettura. Il Gattopardo è sempre un monito a capire tutte le epoche e a vedere quali sono i confronti tra le varie storiche esistenze, quando le stesse producono una innovazione nel rispetto delle esistenzialità, che poi è un affresco del rapporto parentale per cui un nipote di oggi può avvicinarsi al racconto dei nonni e ad un nuovo giudizio su ciò che non avesse capito prima. Il Gattopardo, infine è una sequenza di conoscenza di come si arrivi alla età matura con uno sguardo di chi ormai è già nell’oltre non solo immediatamente futuro, acquisendo la capacità di vedere ancor più lontano, anche oltre morte. La compostezza lascerà per sempre il posto all’attuale disagio.

“Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli o pecore, continueremo a crederci il sale della terra”

 

Anna Maria Mazzaglia Miceli

 

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