E’ STATA LA MANO DI DIO: SORRENTINO VINCERA’ L’OSCAR

L’ultimo film di Paolo Sorrentino emoziona e trascina oltre l’adolescenza e l’inquietudine

Non andavo da tanto tempo al cinema, io che avevo amato il cinema da quando ho capito quanto sia lo specchio delle nostre anime ferite, perché sono stata da tanto confinata in Ospedale non per Covid, ed avevo perso la capacità di reagire ed emozionarmi e perciò che questo film di un autore apprezzatissimo come Paolo Sorrentino mi arriva come un pugno allo stomaco a ricordarmi una identità di vedute, un amore mai soppresso ed anche, perché no, il passato buffo triste ed autorevole della nostra timidezza e l’osservazione miracolosa di un mondo che il nostro occhio registra nei dettagli, da tutte le angolazioni.

È stata la mano di Dio’ sarà pubblicato in streaming su Netflix il 15 dicembre 2021, ma vuoi mettere l’immersione nel grande mare che è lo schermo? il film di Paolo Sorrentino ha vinto il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria e il Premio Marcello Mastroianni al protagonista Filippo Scotti nel 2021 ed è stato selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar 2022, nella categoria dedicata al migliore film internazionale. Lo vincerà? Io dico di sì, perché è pieno e denso di significati plurimi, senza mai compiacersi anzi ridendo di quei profili strani macchiettistici che sono i nostri parenti e i vicini visti in questa atmosfera paranoica e bizzarra che è il Sud che mescola eccellenze e la mafia povera ed amica come se fosse l’ingrediente della vita. Sorrentino ama Fellini e lo si vede, ma non deforma la realtà, che è autenticamente bizzarra, semmai ne sottolinea i dettagli, li ingrandisce, come quando fa notare a tutti che Luisa Ranieri (la zia) non indossa un reggiseno nella primissima scena (lei è il corpo del desiderio, o LA MUSA). E alla stessa maniera, sono curatissimi i comprimari più grotteschi e il padre, ovvero Toni Servillo Se c’è una cosa che sappiamo di Servillo è che è stato bravo nel non dominare la scena a tutti i costi. E La vita familiare sembra essere appena descritta con la sorella sempre in bagno, da cui uscirà alla fine quasi del film, e un padre assai divertente che ama il cinema ma….non è poi cosi’ perfetto. Emblematico che Fabio deve scoprire che ha un fratello segreto, chiedendosi quando avrebbe dovuto saperlo e quando qualcuno avrebbe avuto il coraggio di dirglielo. Insomma troppa sofferenza ma mai dichiarata, se non in un momento di tremore …Ma allora non esiste solo Maradona….

Alla fine in questa adolescenza con il cinema come lontana aspirazione, le donne come miraggio, Maradona come fuga e la morte che incombe, non c’è il compiacimento ma l’intimismo smascherato. Questo è un film con un Sorrentino autentico che procede con lententezza, perché nulla deve sfuggire o passare in ombra.

La trama è ambientata negli anni Ottanta, a Napoli e dintorni. Il protagonista ha diciassettenne anni quando si trova a far i conti con avvenimenti stranissimi: l’arrivo di Maradona nella squadra cittadina e un grave incidente che irrompe come una tempesta nella sua vita, lasciandolo solo a porsi domande, mentre gli altri continuano a vivere come prima. Sorrentino, al suo decimo film come regista e sceneggiatore mi sorprende lì ove non mi aveva esaltato neppure ne “La Grande Bellezza”, mentre avevo apprezzato ‘Le conseguenze dell’amore’, ‘Il divo’ e il dittico ‘Loro 1’ e ‘Loro 2’.

Ma cosa ha fatto la mano di Dio? Lo ha salvato perché era a vedere la prima partita di Maradona o ha deciso che Lui doveva diventare il regista da Oscar? La morte allora non è morte quando creando un dolore crea al contempo una sensibilità e destina qualcuno a esserne testimone colto. Lui che era anche bravissimo negli studi classici.

E’ Sorrentino stesso che aveva annunziato a Venezia che si trattava di “un racconto di formazione che mirava, stilisticamente, a evitare le trappole dell’autobiografia convenzionale: nessun vittimismo e indulgenza al dolore, attraverso una messa in scena semplice ed essenziale e con musica e fotografia meno eclatanti ma intense. La macchina da presa – osservava l’autore – compie un passo indietro per far parlare la vita di quegli anni, come li ho vissuti, sentiti. Un film sulla sensibilità. E in bilico sopra ogni cosa, così vicino eppure così lontano, c’è Maradona, quell’idolo spettrale, alto un metro e sessantacinque, che sembrava sostenere la vita di tutti a Napoli, o almeno la mia”. Sorrentino coinvolge il suo attore preferito Toni Servillo, con un cast assolutamente diverso: Filippo Scotti (bravissimo), Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri (incredibilmente straordinaria), Massimiliano Gallo, Renato Carpentieri (attore di teatro sopra misura) e Marlon Joubert. La critica lo ha osannato, ma io trovo che, per la prima volta, Sorrentino coglie il pieno del cinema, del suo cinema inquieto e vasto, come vasta è Napoli e come tragi-comiche sono le nostre storie personali influenzate sicuramente dal circo, dal silenzio e dalla osservazione e da un regista Fellini che tutto questo lo ha reso immortale.

E così parla di una tragedia personale che somiglia alla mia. Io ho perso il padre da piccola senza averlo mai potuto vedere, ma lui entrambi i genitori quando era ragazzo, e anche Lui, che evidentemente era già supersensibile, trae da quella esperienza la sua storia piu’ bella. “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino è un film eccezionale, maturo e commovente, nel quale lo stile del regista (che non rinunzia per nulla alla fotografia), trova sintesi ed equilibri eccelsi. E poi vuoi mettere il mare ? Vasto come la eternità...quel mare che non è cartolina ma dialogo con l’immenso universo che compare nelle gite in gozzo, con i bagni, i tuffi diversi e divertenti e le pose nude orizzontali della zia Patrizia nuda, la pazza sana che lo osserva e gli trasmette sensazioni. Un mare che è orizzonte e speranza (“tu non hai un dolore, hai una speranza”, griderà Antonio Capuano al giovane Fabio Schisa (alter ego di Paolo nel film). Quel mare che è libertà, e sul quale – spiega a Fabio l’amico delinquente e sognatore Armando – gli offshore che fanno a duecento all’ora fanno “tuff… tuff…”.
Dopo un prologo surreale con un San Gennaro che viaggia su una Rolls Royce d’epoca, utile a introdurre la sua personale musa la bellissima e pazza zia Patrizia, simbolo supremo delle ossessioni erotiche adolescenziali e non solo, di Fabietto – Paolo, questo film che è commedia, purissima e divertente con gli scherzi della madre e con casa Schisa, che sembra essere solo amore e risate, il film lentamente cambia, e il giovane Fabio è costretto a fare i conti non solo con la sua malinconia, e con una solitudine timida, ma con l’infiltrarsi nell’orizzonte della sua consapevolezza dei lati meno lieti e più adulti della vita: il cinismo della Baronessa Focale che abita sopra casa sua (ma che regala a Lui la prima volta), la disillusione dello zio Alfredo, la cattiveria della signora Gentile, che è una matrona che d’estate mangia in pelliccia mozzarelle. Fabio-Paolo deve capire che neppure l’amore dei suoi genitori è granitico e resistente ma è quieto e spesso imbarazzante, e Maradona e la passione per la squadra sembra distrarlo non cambiarlo. Ecco la vita è realtà e la REALTA’ E’ SCADENTE come diceva Fellini. Dopo la sofferenza sorda è il momento di crescere, almeno per Lui che decide di scegliere il cinema e di andare a Roma, lasciando il fratello a giocare sulla spiaggia….e C’era una volta in America è il suo altro indizio…..

Certo l’incontro con Capuano è assordante quel Capuano che lo invita a restare e lo dissuade dal lasciare Napoli perché se uno spera ma non ha rabbia e verità da raccontare è come fare un salto nel vuoto. Ed ha ragione il dissidente Capuano che anche io ho conosciuto, maniacalmente innamorata del suo cinema tanto da avere il suo ultimo film che avrei dovuto distribuire.

Il genio ha bisogno di andare per poi tornare a capire che solo Napoli è mille culuri….
E’ un film che nel buio della sala ho ingoiato tra i miei mille ricordi, con intensità emotiva mescolando sogni a consapevolezze……ed assorbendo le citazioni e i percorsi di chi si ama, perché amando Sorrentino si ama se stessi il barocco, gli interni di case povere ed eccelse, le strade, i volti. Alla fine la catarsi si compie anche in me.
Il suo è un sogno intenso, dove con una sincerità
mai compiaciuta, calda e dolorosa può gridare al mondo cosa sia il suo cinema intriso di dettagli e sfumature messi in scena nello stesso posto, sicché riappare questo amarcord intenso, intriso di mille cose e particolari di vite e macchiette che il regista ha dentro di sé, come chi ha intensamente vissuto tutto ed ingoiato tremori e paure per rinascere immenso e magico.
Basti pensare a come
Sorrentino racconta le case napoletane, il loro arredamento, i ninnoli, i soprammobili. Il barocco borbonico di casa Focale, il modernismo anni Ottanta di casa di zia Patrizia. E ancora: le tavolate di famiglia, i pentoloni di sugo di pomodoro, le bottiglie che vengono riempite di passata e persino i motoscafi dei contrabbandieri, la piazzetta di Capri deserta attraversata da Adnan Khashoggi e dal suo flirt spagnolo. I locali del porto, piazzetta Serao.
Sorrentino si confronta col suo passato attraverso la sua città, riletta e rivista attraverso l’occhio del cinema, così proprio come Fellini fece con la sua Rimini in Amarcord.
Da quella Napoli nessuno se ne va mai davvero. Tantomeno quelli che sono andati a Roma: “i strunz’”.

“Non disunirti”, gli raccomanda Capuano, di fronte alla sua rabbia e al suo dolore. E per non disunirsi, Fabio va a Roma, ma il ragazzo ascolta Pino Daniele nelle sue cuffiette del walkman che ha avuto con sé per tutto il film, e che Sorrentino ha utilizzato in maniera da anticipare il finale, una semplice canzone di Pino Daniele che nei confronti di Napoli è la dichiarazione d’amore più commovente.
“Napule è” è l’unica canzone di È stata la mano di Dio, film di un regista che sa cosa è la musica e che ha usato tanto. Arriva nel momento in cui Fabio si arrende al suo destino, al futuro, al sogno, con la benedizione dello stesso munaciello già apparso a zia Patrizia, a ricordare che la pazzia è appannaggio di pochi, di quelli che si salvano e che non hanno paura di essere diversi intensi, profondi, come la vita, che alle volte prende delle direzioni assolutamente imprevedibili o forse no…perchè la strada ha delle curve ad u, i tornanti come i vicoli come le citta’ : è l’esistenza straordinaria, e tutto questo Paolo Sorrentino lo sa, per questo la essenza vince ed è naturale che sia la Mano di Dio a profilare il capolavoro di spiritualità immanente che diventa anima nel cinema maturo di Sorrentino.

Anna Maria Mazzaglia Miceli

https://www.youtube.com/watch?v=y3ekNpd2_ZE

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