DALLA DISPERAZIONE DI FRACTAL ALLA RINASCITA DI LA TERRA DEI FIGLI: IL VERO CINEMA NON E’ ANALISI MA IMMENSO

 

“Fractal” il secondo film in concorso del Taormina Film Fest per la regia di Rezvan Pakpour, con Mahsa Khodadadi, Emad Darvishi, Taymaz Golshan, dato come grande film d’esordio e concepito come il pimo di una trilogia di studio sui comportamenti umani, fa letteralmente fuggire dalla sala i critici cinematografici presenti.

A parte che è troppo parlato nella lingua originale e non dà il tempo di leggere nè inglese né italiano è un film che tenta di affrontare troppi temi. Femminismo e femminile e sopratutto vorrebbe denunciare che viviamo in un grande acquario, come se non lo sapessimo, siamo dei morti  prefabbricati da persone che hanno distrutto il mondo per non saperlo ricreare. Forse si tratta di incomunicabilita’. Ed allora si delega al teatro di trovare soluzioni. Un gruppo di artisti sta provando una piecè teatrale che deve piacere a qualcuno innominabile e deve creare tensione con un colpo di scena, purtroppo preordinato e tremendo e cioè “qualcuno deve morire”, perché c’è chi comanda e chi deve ubbidire. Si l’Iran ha conflitti sociali, come il resto del mondo. Il film non arriva, non dà insegnamenti per 107 terribili minuti fa parlare in rapida successione i protagonosti. C’è qualcuno che ascolta e vede e prevede ed alla fine si sottrae al ruolo. Avverte che la casa crollerà ma qualcuno che è colui che gestisce il destino saprà poi sostituire chi vi rinunzia. Tutti hanno corde al collo, tutti predestinati insieme a scheletri a diventarlo. E’ la nuova vita industriale che ha eliminato la poesia e non si puo’ essere che semi morti? Si qualcuno si salva chi si ribella amaramente alla fine del film passeggia in riva al mare e si salva sola e da sola, proprio mentre qualcuno entra nella visione di chi vuole a tutti i costi una tragica fine. Ma davvero bisogna scappare da un pollaio di matti che mangiano e chiacchierano senza sosta? Davvero è questo il film iraniano che ci aspettavamo. E’ claustrofobico e insensato. E’ stata una forma di resistenza da parte dei critici presenti: chi si alzava subito chi un po’ dopo, ma si scappa dalla successiva conferenza stampa con video in collegamento. Possibile che su tre direttori artistici, nessuna introduzione e nessun commento finale? Dire che ho vissuto nel non sense del cinema è dire poco. E dal cinema chi si aspetta tanto si aspetta immagini non confusione e una interminabile discussione intorno al nulla. Mi immagino che questi film che hanno la pretesa di essere “di autore” saranno premiati dopo essere stai annunciati come capolavoro, sarebbe una altra offesa al cinema vero e di incanto. Lande di periferia desolate, costumi primitivi e a volte burleschi per dire tanto poco…e per cercare di discutere di un realismo sociale che non puo’ essere per nulla pirandelliano. Per carità Pirandello è ben altro….

 

Altra dimensione il film spettacolare girato nel 2019 “La terra dei figli” di Claudio Cupellini, con Valerio Mastrandea, Valeria Golino, Fabrizio Ferracane, Maria Roveran, Pippo Del Buono, Valerio Donadoni, Franco Ravera,Camillo Acanfora, Michelangelo Dalisi,Leon Della Vallèe; Sceneggiatura dello stesso Claudio Cupellini, Guido Iuculano e Filippo Gravino. Splendida la fotografia di Gergely Pohàrnok. Produzione Indigo Film e Rai Cinema con Wy Production.

La terra dei figli, racconta di un mondo post-apocalittico, dominato dalla violenza; poche persone si sono ritirati in una ansa chiusa di un fiume perché vi è un padre che tenta di crescere suo figlio (non lo ha ucciso come hanno fatto altri) senza abituarlo alle carezze:  vita è lotta e Lui vuole che il figlio diventi forte, senza indugiare a parole di amore. E’ un film che nel reale immerge il mondo surreale fatto di morti che tornano a pelo dell’acqua o di morti che incontrano i vivi nel sogno. Tutti appaiono strani personaggi irreali mal vestiti e malconci e solo il padre del ragazzo sa scrivere e nel suo diario appunterà i ricordi personali e silenti quelli per cui il ragazzo esplorerà il passato perché vuole sapere cosa il padre ha sempre pensato di lui. Dopo la morte del padre va oltre la chiusa in mezzo ai pericoli per portare in salvo Maria, una ragazza sopravvissuta al disastro ed incontrata per caso o forse per amore. Cosa è bello di questo film? I paesaggi i ritratti i silenzi, quell’indugiare sui volti per cogliere e carpire le emozioni e la lentezza del racconto che qui sì fa riflettere, sul mondo che abbiamo vissuto e sulla rinascita.
Il regista sottolinea che si tratta di una storia di formazione, che racconta come un adolescente quattordicenne si ritrovi costretto a lottare per sopravvivere in un mondo ostile. I temi trattati sono il futuro del mondo da lasciare ai posteri e l’importanza della memoria in un mondo pieno di personaggi atipici. Una stupefacente Valeria Golino parla senza sguardo e parla di pietà, Lei che sa. Il film è basato sul graphic novel La terra dei figli di Gipi – pubblicato nel 2016 da Coconino Press vincitore nel 2017 del premio della critica francese ACBD – e sarà distribuito nelle sale cinematografiche a partire dal 1 luglio. Padre e figlio quattordicenne resistono su una palafitta. Non c’è più società, ogni incontro con gli altri uomini è pericoloso. In questo mondo regredito, il padre affida a un quaderno i propri pensieri, ma dopo la sua morte, quelle parole per suo figlio sono segni indecifrabili così il ragazzo deciderà di intraprendere un viaggio verso l’ignoto alla ricerca di qualcuno che possa svelargli il senso di quelle pagine misteriose. Solo così potrà forse scoprire i veri sentimenti del padre e un passato che non conosce e proprio la voglia del sentimento del padre distruggerà il mondo finto che è destinato a precipitare nella dimenticanza. Anche Maria chiusa in una gabbia, troverà con il ragazzo la sua salvezza ricreando amore dal nulla nella miseria di quel ricominciare che è forza. Film di grande spessore ove la natura sembra avere un ruolo magico nella sua esistenza infinita, ricreando armonia.

Anna Maria Mazzaglia Miceli

 

 

 

 

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