DA PIAZZA E GRASSADONIA A RANDISI E VETRANO NEL MONDO DI SCALDATI

Continuano gli incontri e i film qui a Taormina e nulla sembra piu’ piacevole che una master class con i due talentuosi registi sceneggiatori Antonio Piazza e Fabio Grassadonia reduci da Cannes con l’anteprima del nuovo film Sicilian Ghost Story, che sta riscuotendo successo in ognidove. Qui non vediamo il loro film ma assistiamo ad una autorevole lezione di cinema

La loro carriera inizia in Rai come sceneggiatori, ovviamente di piccoli o grandi programmi dove hanno imparato il senso della misura e della velocità, la capacita’ di adattarsi all’impossibile. Poi il binomio diventa completo ed al secondo film adesso possono raccontare una tragedia siciliana come una favola, perche’ per loro il sogno e la realta’ sono dimensioni possibili e contemporanee, l’una appartenente alla reale e l’altra a quella che chiamo realta’ vera, che e’ il modo verticalizzato che ha anche un bambino di guardare dentro l’antro della coscienza approdando a quello delle stelle. Qui,  in questo spazio metafisico, e’ possibile raccontare l’orrore trasfigurandolo nel surreale, popolando il mondo dei bambini ed intessendo col set un rapporto fatto di rapporti umani che non debbono finire.

Luna, una ragazzina siciliana con la passione per il disegno, frequenta un compagno di classe, Giuseppe, contro il volere dei suoi genitori, soprattutto della rigida madre che viene dalla Svizzera, perché il padre di lui è coinvolto con la malavita. Giuseppe porta lo stesso nome di Giuseppe Di Matteo e come lui scompare misteriosamente, al termine di un pomeriggio passato insieme a Luna. Lei non si dà pace, entrando in conflitto sia con la famiglia, sia con i compagni di classe e nel crescendo drammatico del film anche con la migliore amica. La certezza che Giuseppe sia salvo sle viene dai suoi strani sogni e da un terribile evento, in cui quasi annega in un lago e le sembra di ritrovare il ragazzo in una sorta di antro subacqueo. La realtà però non e’ quella del salvifico mondo dell’acqua dove tutto si rigenera e ricrea

Anche nell’opera seconda, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza continuano a trasfigurare la tragedia senza fine della mafia in una chiave aperta al fantastico, ma se in “Salvo” interveniva un miracolo, qui si guarda piuttosto alla fiaba.

Questa volta i due sceneggiatori scelgono il bosco, quello che non brucia mai e che stranamente ed inspiegabilmente si e’ salvato e per questo luogo di incanto nei misteri cupi delle ombre degli alberi, inoltre la casa di Luna ha per cantina la caverna di roccia naturale, così come è rocciosa la prigione di Giuseppe. Luoghi di sempre, in Sicilia supernoti per la bellezza ma anche antri di atrocita’. Anche la vita animale ha poi una presenza riccamente simbolica, a partire dal rapace che spesso appare nella cantina di Luna e dal minaccioso cane nero. Ma gli animali hanno occhi e sanno diventare la memore esperienza anche della amarezza. La mafia e’ ancora l’Orco che strazia e cancella…ma esistono anche i benedetti fantasmi che non dimenticano. La loro favola della tragedia viene meticolosamente raccontata al Palacongressi di Taormina, dove discutono di cosa sia per loro il cinema: dalla idea al set in un rapporto familiare con gli attori ed in un amorevole montaggio che affidano a chi e’ meno logorroico di loro, dopo aver compreso ed appuntato la sequenza delle scene. Ed ora chiudono il capitolo mafia per parlare di altro. Non vogliono svelare nulla ma, sembrano in cerca di altre storie siciliane favolose e dunque non rinunciano alla Sicilia consapevoli che da qui si diramano altri interessanti discorsi sulla elevazione e sulle grandi possibilità di una terra che ha ancora molto da raccontare.

Si prosegue alle 16,00 con SARO di Enrico Maria Artale, un documentario autobiografico intimo seguito da una voice over che veicola riflessioni. Un padre e’ svanito dalla vita del figlio di appena un anno. Un figlio che sembra averlo dimenticato sino all’ascolto di un messaggio in segreteria. Inizia un viaggio straordinario in Sicilia, con l’intento di rintracciarlo registrando emozioni con una videocamera. E cinque anni dopo, quel materiale girato diventa un film “Ma quanto fiato quanta salita, andare avanti senza voltarsi mai” cantava un giovanissimo Eros Ramazzotti dal palco del Festival di Sanremo nell’ormai lontano 1986. Certo non è facile diventare adulti, non è previsto un percorso ben definito, non è poi nemmeno certa la data della fine del processo di crescita, l’importante però è, di quando in quando, riconciliarsi con il proprio passato. Al regista tocca solo ora fare i conti col passato e dopo la benedizione del suo ispiratore Werner Herzog, la cui voce fa capolino in una breve sequenza estratta Artale si mette in viaggio in cerca del padre. Il ragazzo si confronta a Palermo sui temi dell’incontro ma in realta’ deve affrontare il suo psicocinema da solo. In principio la voice over del protagonista-autore abbozza qualche riflessione teorica sul mezzo-cinema, l’incontro con la madre poi le amplifica (la donna dice che si aspettava tutto questo, da uno che fa cinema, dunque riflette sul “doppio” ed oltrettutto è anche del segno dei gemelli) in seguito, l’autore si perde di fronte ai paesaggi desertici dell’Etna (del calibro di “la forma più alta di bellezza è l’assenza dell’uomo”, oppure pensieri sparsi adolescenziali sulla “indifferenza della materia”) e infine, al momento dell’incontro con il padre, questi dichiara di sentirsi aggredito dal “fucile” (la telecamera) che il figlio gli punta contro. Si tratta, forse con troppa evidenza, di tentativi da parte dell’autore di ampliare il suo discorso dal personale all’universale, ma il suo intento è troppo scoperto. Il problema principale di Saro è che non ci offre molto altro oltre alla sua storia. Tolta la trama, non c’è altro , e non perché le immagini di Artale non siano curate, tutt’altro, per essere un progetto di “presa diretta”, la qualità audiovisiva non differisce molto da quella di tanti documentari. Forse Artale ha riposto troppa fiducia nella giustezza del suo viaggio, così come nella trasparenza del suo strumento. Basti pensare a quella citazione, firmata nientemeno che da Abbas Kiarostami, che apre il film asserendo: “Esiste una preghiera che dice: Dio, mostrami le cose e le persone per quello che sono, ed elimina le falsità che possono confondere la mia percezione. E dio creò la telecamera digitale”.

stico intervento in voice over. Probabilmente, eliminare i suoi interventi (purtroppo ce ne sono altri) nel corso di tutta la chiacchierata con il padre sarebbe stata una scelta più azzeccata.

Forse Artale ha riposto troppa fiducia nella giustezza del suo viaggio, così come nella trasparenza del suo strumento. Basti pensare a quella citazione, firmata nientemeno che da Abbas Kiarostami, che apre il film asserendo: “Esiste una preghiera che dice: Dio, mostrami le cose e le persone per quello che sono, ed elimina le falsità che possono confondere la mia percezione. E dio creò la telecamera digitale”.

L’iperbole del Festival e’ sicuramente il film geniale TOTO’ E VICE’ di Marco Battaglia e Umberto De Paola con i superbi attori Enzo Vetrano e Stefano Randisi…ci si immerge nel mondo di Scaldati e nella poesia purezza in una reinvenzione totale del cinema tratto dallo spettacolo di Franco Scaldati, il film trasporta ed immerge i personaggi in una Palermo languida e sanguigna, filosofica ed assorta. La citta’ partecipa del loro viaggio senza sosta giocato tra luce fioca e buio, eternamente sospesi tra morte e vita in un dialogo semplice fremente. Totò e Vicé sono creature senza tempo, sconfinate nel sogno irreale di un gioco, sotto una luna felliniana in un paesaggio pasoliniano deserticamente dilatato, vagano per la citta’ di notte, esistenti forse mai esistiti,come puri bambini ; Un viaggio urbano e una vita tra memoria e sogni in una notte magica senza tempo, la loro storia di santificazione attraversa i sobborghi, raggiunge la città con i suoi vicoli, mostrando la vera struttura della scrittura e della cosmogonia di Scaldati. Le parole si aggrovigliano ed inseguono nel  non sense nella ricerca di un senso…Dicono che il cielo si e’ formato col fiato degli uomini….Tu chi sei io chi sono…ma tu non esisti perche’ io non esisto….mentre i quadri alle pareti hanno fiori che si seccano. Se guardo la luna vedo rosso ed e’ sangue e la casa vola…Noi chi siamo? Luminosi pupi tristi forse espressione di un unico pensiero e senza la matita e la carta non saremo mai esistiti. Si ritorna al cinema che racconta la letterarieta’ immaginifica forte con due volti che sono il sacro del teatro, il massimo di un espressionismo estetico che e’ il cinema che sognerei di vedere sempre. Quello di Zampano’ e delle fiabe reali, fatti da saltimbanchi che raccontano tra candele e fiammiferi la vita, anzi l’anima, solo spostando una lucerna e cantando l’eterno inno alle farfalle e fiori. Questo cinema ha un grande sentimento e gusto estetico, racconta il nuovo cinema che trapassa il teatro e lo sposta nella dimensione dell’altrove che e’ silenzio …e’ citta’ di notte e’ pensiero nel mito di una Palermo antica soffusa di carisma e di parole che sembrano cantilene inanellate. Da qui si parte per il nuovo Festival del cinema che disegna strade e percorsi e che ci riporta la dimensione di una mai perduta bella speranza.

Anna Mazzaglia

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